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Il castello di Rocca Sinibalda: un’aquila dalle ali ripiegate

A circa un’ora da Roma, a picco sulla valle del Turano, si trova Rocca Sinibalda, un piccolo comune di circa 779 abitanti (al 31/12/2019) in provincia di Rieti. Questo borgo, di origini ignote, ma di cui troviamo accenni già in Strabone, Dionigi d’Alicarnasso e Plinio, deve la sua fortuna all’imponente castello arroccato, dalla forma misteriosa di aquila dalle ali ripiegate, circondato da case, che nei secoli passati dovette rappresentare una inattaccabile roccaforte.

Ai nostri giorni, oltre ad essere meta di scolaresche ed appassionati di arte, a costituire un’attrazione con le sue sale lussuose, i sotterranei misteriosi, i giardini pensili ricchi di fascino riprogettati da Ippolito Pizzetti nel 1972 e il panorama mozzafiato, il complesso è una dimora storica con stanze e suite raffinate per turisti ed estimatori, una squisita e raffinata cucina dai sapori locali e la possibilità di effettuare trekking, cavallo, biking, teatro, musica, danza, fablab, nonché di partecipare o organizzare eventi ed incontri di vario genere. In tal modo il Castello delle Metamorfosi, come è ugualmente noto, conferma la sua anima multiforme con trasformazioni e riadattamenti avvenuti nel corso dei secoli e delle necessità. L’illustre architetto Giuseppe Zander (Teramo, 1920 – Roma, 1990) lo definì una “creazione geometrica astratta, costruzione che pare tagliata con la spada”.

Considerato uno dei più affascinanti d’Italia e unico nel suo genere in Europa, dichiarato nel 1928 monumento nazionale, il castello nacque come fortezza militare intorno all’XI secolo e deve il nome a Sinebaldo, secondo alcuni un nobile longobardo, conte e rettore della Sabina dal 1058 al 1065, secondo altri un discendente di Carlo Magno. Documenti successivi indicano che, alla fine dell’XI secolo, rientrasse tra i possedimenti dell’Abbazia benedettina di Farfa e, dopo vari passaggi, dal XIII al XV secolo, fu controllato dalle famiglie Buzzi e Brancaleone di Romancia.

Un cambiamento strutturale si ebbe a partire dal 1494 quando il re di Francia Carlo VIII invase l’Italia senza incontrare resistenza alcuna. Nessuna fortezza resistette al fuoco dei cannoni e delle armi e, probabilmente proprio a seguito di tale evento, la pianta di Rocca Sinibalda venne rivisitata assumendo un aspetto spiccatamente difensivo. Ancora oggi, tracce dell’antica sistemazione si possono scorgere nella cinta esterna e nelle ampie mezze torri sporgenti.

Durante il pontificato di Clemente VII Medici (1523-1534), il castello fu assegnato alla famiglia Cesarini, con l’obbligo di provvedere al suo mantenimento e al potenziamento del ruolo strategico sul confine tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli.

Dopo il Sacco di Roma del 1527, il cardinale Alessandro Cesarini lo rinforzò, ma volle renderlo adatto a feste ed eventi, secondo lo stile rinascimentale in voga, superando la distinzione tra villa e fortezza e unendo la funzione militare a quella di palazzo nobiliare. Sembra che lo stesso Cesarini avesse suggerito una pianta a sagoma di aquila, simbolo araldico della famiglia, che si sviluppa longitudinalmente adattandosi allo sperone roccioso e costituisce una delle caratteristiche principali della costruzione anche se spesso altri studiosi ravvisano il profilo di uno scorpione.

Ma chi fu in quest’epoca l’autore della ricostruzione del castello? Nel Gabinetto degli Uffizi a Firenze sono conservati tre disegni, rappresentanti uno sperone anteriore e una ‘coda’ consacrati alla difesa dei due punti più vulnerabili e un grande corpo centrale – il ‘palazzo’ – a picco su un costone di roccia, attribuiti a Baldassarre Peruzzi (Siena 1481-Roma 1536) il quale, dopo aver lavorato con il Pinturicchio a Siena e con Bramante e Raffaello a Roma, era stato nominato, nel 1530, architetto della fabbrica di S. Pietro.

I lavori per il rinnovo del vecchio impianto non furono portati a compimento dal Peruzzi, scomparso prematuramente nel 1536, ma da allievi sia suoi sia di Andrea di Sangallo e, con ogni probabilità, dal figlio Sallustio.

Nel corso dei secoli, il complesso è stato conteso tra diverse famiglie nobiliari (i Mattei, i Lante della Rovere, i Muti-Bussi, i Lepri) e ha attraversato alterne vicissitudini (assedi, l’esplosione della santabarbara, incendi, abbandoni, decadenza).

Ai nostri giorni, visitando le molteplici sale, si può ammirare un tripudio di decorazioni, fregi e affreschi, realizzati da diverse mani e in stili differenti. Tra i tanti artisti spiccano Girolamo Muziano e i pittori delle scuole del Manierismo romano e umbro-toscano, che affrontano temi classici destinati ad esaltare il committente e la sua famiglia, scene mitologiche, rappresentazioni storiche, battaglie, medaglioni di eroi, grottesche, riferimenti alla storia romana, alla guerra ed episodi ispirati alle Metamorfosi di Ovidio.

Avremmo voluto riferire colorati avvenimenti di vita quotidiana e di personaggi che si sono avvicendati nei secoli, con le loro storie di guerra e di amori, intrighi di palazzo e tradimenti, ma lasciamo ai visitatori la libertà di fantasticare travalicando il tempo e lo spazio.

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