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La conquista italiana del K2

L’alpinismo è uno tra gli sport più pericolosi ma anche tra i più epici, soprattutto quando, nei decenni scorsi, si organizzavano spedizioni in zone mai scalate in precedenza. Tra le grandi imprese l’Italia può vantare una delle più ardite di sempre: la scalata del K2, la seconda montagna più alta del mondo.

La spedizione fu organizzata nel 1954, patrocinata dal CAI e dallo Stato italiano e guidata dall’alpinista Ardito Desio. Furono in tutto 30 i componenti ufficiali della spedizione, tra cui 18 italiani e 12 pachistani tra membri ufficiali e “portatori d’alta quota”, oltre ai numerosi portatori locali assoldati per raggiungere il campo base a 4970 m.

Nonostante Desio fosse il capo spedizione non raggiunse mai la vetta, ma fu lui a gestire, in maniera considerata spesso autoritaria dai compagni d’impresa, la scalata verso gli 8611 m della vetta, raggiunta solamente da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Gli alpinisti seguirono la via chiamata “Sperone degli Abruzzi”, scoperta nel 1909 da Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, dopo aver allestito 9 campi intermedi; la vetta fu raggiunta dopo un paio di mesi, il 31 luglio 1954.

Furono numerose le polemiche legate alla spedizione, dalla morte di Mario Puchoz per edema polmonare, nel campo II, fino agli eventi degli ultimi due giorni della spedizione, con una feroce querelle tra Compagnoni e Walter Bonatti, sulla gestione delle bombole d’ossigeno e sulla responsabilità per le lesioni da gelo subite dal portatore pakistano Mahdi.

Dopo 50 anni, alcune relazioni del CAI e della Società Geografica Italiana confermarono quasi completamente la versione di Bonatti.

Daniele Capello

Per approfondire: –Club Alpino Italiano, K2 una storia finita, a cura di Luigi Zanzi, Scarmagno (TO), Piruli&Verlucca, 2007

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