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Chiudere i wet market nel mondo

Il Covid-19 ha trascinato in giudizio i wet market, presenti in particolare modo in Cina, Thailandia e Vietnam perché ritenuti pericolosi per la salute pubblica. Ma di che si tratta? Letteralmente il termine significa “mercato umido” e sta ad indicare il luogo in cui si vendono animali macellati sul posto, il cui sangue scorre sui pavimenti delle bancarelle dove viene effettuata la vendita. Questo per soddisfare i clienti che desiderano carne appena macellata.
Facile comprendere che possa essere una minaccia per la salute pubblica.
A chiedere l’immediata chiusura di questi mercati, saliti agli onori della cronaca con la diffusione del Covid-19, è stata l’associazione Animal Equality (un’organizzazione internazionale che lavora con la società civile, i governi e le aziende per porre fine alla crudeltà sugli animali allevati a scopo alimentare), la quale ha lanciato in tutto il mondo una campagna di sensibilizzazione documentando, con appositi video-reportage investigativi, quanto succede. Sono immagini abominevoli, facilmente rintracciabili su youtube, che fanno vedere come cervi, procioni, coccodrilli e cani vivono in gabbie sporche, disidratati, affamati e malati prima di essere uccisi.


Proprio da questi luoghi in passato sono scaturite diverse epidemie, inclusa la SARS e alcuni studiosi ritengono che anche il Covid-19 abbia avuto probabilmente origine nel wet market di Wuhan, in Cina. Molti ricercatori da tempo hanno messo in relazione tale commercio alla diffusione di patogeni potenzialmente pericolosi per l’uomo.
Il Direttore Esecutivo di Animal Equality Italia Matteo Cupi ha inviato una lettera indirizzata a Maria Angela Zappia Caillaux (rappresentante permanente per l’Italia presso le Nazioni Unite) chiedendo ufficialmente azioni concrete per chiudere questi mercati sia perché sono una minaccia per la salute pubblica sia perché causano incredibili sofferenze agli animali selvatici e da allevamento chiusi in gabbie anguste e recinti antigienici, veicoli dirompenti per la propagazione della zoonosi (ossia malattie che possono essere trasmesse direttamente o indirettamente tra gli animali e l’uomo, come appunto il Covid-19).
La lettera include una serie di riflessioni circa la pandemia in corso, le problematiche relative allo sfruttamento degli animali e il fenomeno dello spillover, ovvero il passaggio da animale a uomo dei virus, facilitato proprio all’interno dei wet market.
Il dottor Ian Lipkin, esperto di malattie infettive, tempo fa ha dichiarato: “Se prendi degli animali selvatici e li metti in un mercato insieme ad altri, domestici e non, dove ci sono infinite opportunità per un virus di fare un salto di specie, stai creando … una superstrada per i virus, che passano così dagli ambienti selvatici alle persone. Non possiamo più tollerare che questo accada. Voglio che i mercati degli animali selvatici vengano chiusi”.

A trader stands at a market where pangolin and other bushmeat are sold in Libreville on March 7, 2020. (Photo by Steeve JORDAN / AFP)

Dello stesso parere il professore Andrew Cunningham del The Zoolosdgical Society di Londra: “Gli animali vengono stipati insieme in gabbie e trasportati per grandi distanze. Sono stressati e immunodepressi ed espellono qualsiasi agente patogeno che hanno in loro. Con tutte le persone che visitano e lavorano al mercato e che vengono costantemente in contatto con i fluidi corporei di questi animali, hai creato un mix ideale per la diffusione della malattia”.
Forse il motivo principale che spiega l’esistenza di questi mercati, diventati anche attrazione turistica, è che per gli abitanti del luogo elettrodomestici come il frigorifero sono una novità solo da qualche anno e non tutti se li possono permettere, per questo acquistano carne macellata nello stesso giorno in cui la consumano.
Concludendo: ciò che lega un wet market alla nascita di un virus è il modo con cui viene concepito il “magazzino” e la vendita, ossia ammassati in piccole e anguste gabbie nonché, come detto, la macellazione sul posto: insomma, virus endemici di ogni specie animale, in spazi così ristretti, hanno maggior possibilità di fare il cosiddetto “salto di specie” e, arrivando all’uomo, scatenare di fatto epidemie potenzialmente letali che si possono diffondere in men che non si dica in tutto il pianeta.

Bruno Cimino

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