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L’atleta sudcoreana Choi Suk-hyeon si è suicidata a 22 anni

Choi Suk-hyeon era una triatleta sudcoreana dalle grandi qualità, ma da anni era vittima di violenze e percosse perpetrati dal medico e dall’allenatore della sua squadra.
La giovane aveva denunciato più volte gli abusi subiti da parte dei due. Aveva raccolto un’infinità di prove e registrazioni che documentavano le continue violenze verbali, psicologiche e fisiche cui era sottoposta quotidianamente. Il medico arrivava a prenderla a schiaffi e a calci e persino a penetrarla una ventina di volte al giorno. In un’occasione, l’uomo è anche arrivato al punto di romperle una costola.
La ragazza aveva presentato diverse denunce e avviato petizioni per porre fine a quell’incubo. Si era rivolta alla Federazione Triathlon Coreana, al Comitato dello Sport e delle Olimpiadi Coreano , alla Commissione Nazionale dei Diritti Umani e alla polizia di Gyeongju, ma nessuno l’ha mai presa sul serio. Nonostante tutte le prove evidenti e le registrazioni in cui si udivano distintamente le voci dei suoi molestatori, le autorità hanno sempre risposto che non sussistevano basi per poter avviare un’indagine, un fatto assolutamente inconcepibile e profondamente ingiusto.
Umiliata, abusata, stanca di continuare a subire senza ricevere alcun aiuto, Choi Suk-hyeon alla fine si è arresa e si è tolta la vita. Aveva soltanto 22 anni.
Prima di compiere l’estremo gesto, ha inviato un messaggio a un compagno di squadra, pregandolo di occuparsi del suo cane, e alla madre, dicendole di volerle bene e chiedendole di rivelare al mondo tutto ciò che le avevano fatto.
Dopo la sua morte, la famiglia ha deciso di pubblicare il diario della ragazza e parte delle registrazioni che denunciano tutte le aggressioni che ha dovuto subire da parte dei due uomini. Naturalmente adesso le autorità negano di aver ignorato le sue denunce.
In Corea del Sud i casi di abusi psicologici, fisici e sessuali commessi da manager, allenatori e vari membri del loro staff ai danni di giovani idol e atlete non sono una novità e buona parte delle volte si concludono proprio con il suicidio delle vittime, che spesso vengono abbandonate e lasciate in balia dei loro molestatori.
Verrebbe da chiedersi perché le autorità continuino a rimanere cieche e sorde di fronte alle richieste d’aiuto delle vittime, fino a che punto arrivi la corruzione in determinati ambienti e quanti altri giovani dovranno togliersi la vita prima che questo sistema perverso e ingiusto venga smantellato.

Yami

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