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I SOCIAL NETWORKS. QUALI EFFETTI PSICOLOGIGICI POSSONO AVERE SU CHI NE FA USO?

Nel 1988 viene evidenziato il “paradosso di internet”, che facilita la comunicazione ma riduce di fatto il coinvolgimento sociale e il benessere derivato dal contatto interpersonale.

Il diffondersi e l’utilizzo semplificato di vari devices, determina la possibilità di rimanere connessi alla rete in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, andando a modificare il “paradosso” inizialmente affermato. Le ricerche nel 2000 dimostrano che l’uso di internet può diminuire la percezione della solitudine, nel 2001 aumentare la sensazione di supporto, nel 2003 aiutare le persone sole a costruirsi dei legami e relazioni nuove attraverso l’universo virtuale.

Invece altri studi successivi, 2015, dimostrano che, al contrario, può essere proprio l’uso di Internet a causare la solitudine, soprattutto per i giovani. Il rischio più rilevante «è di affrontare tutte le relazioni interpersonali in modo surreale» lasciando ai devices la gestione delle proprie emozioni. Inoltre viene rilevato, l’aumento dei livelli di stress e di ansia libera, dovuti in particolare al fatto di poter essere raggiunti e controllati sempre e comunque, e di poter ugualmente raggiungere e controllare altre persone in qualsiasi luogo e momento. Tutto questo viene individuato, da uno studio del 2018, come rischio di una vera e propria dipendenza che espone l’individuo agli stessi meccanismi impulsivi e compulsivi innescati dall’utilizzo di droghe.

Tra le caratteristiche che facilitano l’uso abituale delle piattaforme social (secondo Griffiths 2018 ) si trova il piacere fisiologico e psicologico che induce l’utente a controllare continuamente i devices per compensare la paura di essere “lasciati fuori”.

Nell’attuale panorama di comunicazione mediata da Internet, il dispendio di tempo speso sui social network sembra essere diventato un comportamento normale, per questo le ricerche condotte dagli studiosi oggi si sono concentrate sulla qualità del tempo e sul tipo di attività svolta dagli utenti in rete.

Un altro fenomeno che si viene a determinare con l’abuso dei network è la distorsione dei rapporti sociali: il concetto di “amicizia” che si basa sul legame emotivo e di intimità instaurato tra le persone, rischia di essere sostituito dall’essere “follower” privando il rapporto della conoscenza e dell’interazione reciproca.

Un ritiro sociale e il conseguente sviluppo del senso di isolamento legati all’uso dei network sociali è ormai evidente a tutti. Un esempio: in un qualsiasi contesto sociale che prevede la presenza di tante persone vediamo spesso la maggior parte di loro con in mano uno smartphone, come una parte integrante del proprio corpo, tutte insieme, ma in realtà isolate in un mondo virtuale. Si parla nuovamente di società “liquida” in cui le relazioni sono sfuggenti, fugaci e prive di intimità.

Per coloro che soffrono di ansia sociale, l’interazione di persona può apparire così minacciosa da far preferire una comunicazione virtuale, incrementando così l’ansia quando l’incontro con le persone avviene necessariamente in presenza.

I social si trasformano in una sorta di vetrina digitale in cui potersi esibire allo scopo di rinforzare l’immagine di Sé che si desidera proporre, costruita intenzionalmente in base al contesto e all’uso che se ne vuole fare, con l’obiettivo di volersi conformare al canone sociale. Si assiste così al passaggio dal Sé soggetto al Sé oggetto.

I principali social network hanno risposto alla necessità degli utenti di rinegoziare la loro identità, inserendo le stories che consentono di pubblicare contenuti nella propria pagina personale per la durata max di 24 ore, in questo modo l’utente può decidere quotidianamente chi vuole essere.

Con la condivisione della propria immagine si attendono conferme da parte degli altri sulla propria identità. Il processo di costruzione della propria autostima diventa così condizionato dal giudizio altrui, da quello che accade nella rete. Anche se i feedback sono positivi e l’autostima della persona aumenta, in realtà si sviluppa una falsa sicurezza di sé, che nasconde tutta la sua fragilità nel legame di dipendenza da gli altri. È stato dimostrato che le persone con bassa autostima tendono ad usare maggiormente i social network, al fine di migliorare la percezione che hanno della loro immagine.

Il termine “narcisismo” indica un’elevata preoccupazione o un interesse relativo al Sé, che si può inserire in un continuum che va dalla normalità alla patologia. Le caratteristiche della personalità narcisistica includono esibizionismo grandioso, credenze relative al diritto di ricevere riconoscimenti e tendenza alla manipolazione e allo sfruttamento degli altri.

I social network rappresentano il terreno fertile in cui poter coltivare il proprio Sé ideale, consentendo di essere chi si vuole. L’ipotesi attestata, nei cosiddetti selfie, è che ci sia in gioco l’integrità narcisistica, nel desiderio e nel piacere di mostrarsi, l’oversharing diventa quasi l’unica maniera di esistere, si parla così di “narcisismo digitale”.

In particolare, è stata verificata una relazione stretta fra le attività delle ragazze sui social network e la loro percezione dell’immagine corporea. Un’elevata esposizione a contenuti relativi all’aspetto estetico risulta positivamente correlata ad un incremento nei disturbi dell’immagine corporea che nascono dall’interiorizzazione dell’ideale mediatico e dal desiderio di essere più magre (Meier & Gray, 2014).

In concomitanza alla diffusione di Internet e all’uso dei network sociali, è stato riscontrato anche un aumento dei casi di depressione e di altri disturbi dell’umore, soprattutto tra gli adolescenti. Diversi studi hanno dimostrato che esiste correlazione tra l’eccessivo utilizzo dei social e lo sviluppo della patologia.

Ma ci si chiede se è l’eccessivo utilizzo dei social a creare il terreno per lo sviluppo della patologia, o se sono i soggetti depressi che tendono a usare eccessivamente la piattaforma.

Durante l’uso dei social network è possibile che si attivi il “contagio emotivo”, in particolar modo, risultano essere contagiosi i contenuti emotivi negativi trasmessi da post condivisi online (Ferrara & Yang, 2015), soprattutto se legati alle “bolle culturali virtuali”. Queste ultime vengono individuate grazie agli algoritmi presenti in ogni applicazione che forniscono le stesse categorie di contenuti per cui il soggetto ha mostrato interesse, lo scopo è di trattenere l’utente sulla piattaforma. Alla combinazione delle “bolle virtuali” con il contagio emotivo negativo, si attiva una forte influenza sullo stato emotivo della persona, che tenderà a flettere verso il basso.

Spesso nelle piattaforme digitali si scelgono accuratamente i contenuti da mostrare affinché il messaggio trasmesso dalle proprie condivisioni sia il più positivo possibile.

Ma cosa succede a chi guarda questi post?
Gli utenti più fragili si ritrovano ad osservare un’illusione di benessere che appare irraggiungibile, si generano così sentimenti negativi come gelosia, inadeguatezza, tristezza e insoddisfazione che ancora diminuisce l’umore.

In uno studio effettuato dalla Royal Society for Public Health (2017) si è attestato l’impatto psicologico dei social network sugli adolescenti ed è stato rilevato come quasi tutte le reti sociali possono avere influenze negative sul benessere psicologico. Più alto è il numero di social utilizzati dalla singola persona, maggiori sono le probabilità di avere disturbi dell’umore.

L’ipotesi più accreditata è che più ci si rifugia nella rete, più si rischia di aumentare i sintomi depressivi dando vita a un circolo vizioso, Sono comunque necessari altri studi sul fenomeno per dare risposta ai quesiti in sospeso sulla relazione tra depressione e uso dei social.

Alla luce delle evidenze citate, indipendentemente dai vantaggi, non si può trascurare la possibilità di impatto negativo che i social network possono avere nei processi di costruzione dell’identità psichica e fisica degli utenti e nello sviluppo di problematiche connesse.

Pertanto sarebbe opportuno farne un buon uso. Nel prossimo articolo approfondirò: l’utilizzo compulsivo dello smartphone cosa comporta negli adolescenti.

Marisa Paola Fontana

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