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Qual é la strategia per vivere meglio nella “società liquida”?

Facendo seguito al mio articolo, “Viviamo nell’epoca della modernità liquida”, che descrive la realtà nella quale stiamo vivendo ed il concetto della “società liquida” elaborato dal sociologo e filosofo Zygmunt Bauman. In sintesi, la concezione sociologica che considera l’esperienza individuale e le relazioni sociali segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile. Un mondo confusionario in cui tutto è effimero ed incerto, reso tale dalla rapidità della nostra società che ha reso fragile ed incerto qualunque tentativo di stabilizzazione dell’esistenza. Le cause, la globalizzazione, la spinta al consumismo e l’eccessivo sviluppo tecnologico sperimentato in questi ultimi 30 anni.
Uno scenario per certi versi inquietante, riassunto nella frase che del sociologo: “Allora la gente era ottimista, vedeva la luce alla fine del tunnel. Le insicurezze erano temporanee. Ora invece ci rendiamo conto che l’insicurezza è per sempre”.
Quale può essere la strategia per vivere meglio in questa realtà ?
Mentre il mercato consumistico produce clienti insoddisfatti, una strana malinconia pervade gli abitanti delle nostre democrazie. La solitudine, virus dell’era contemporanea, nutre il business dei social network, e intanto l’amicizia, l’amore e la necessità vitale di vivere assieme agli altri tendono a sparire.
La felicità promessa dal progresso moderno appare associata a un’esistenza priva di turbamenti, di inciampi, senza sforzo.
Sorge spontanea la domanda. Che cos’è la felicità come possiamo raggiungerla?
Nel 1974 Richard Easterlin professore di economia statunitense, conduce studi sulla relazione tra la crescita economica e la felicità, restituendo trenta indagini dal 1946 al 1970, che coprono diciannove paesi.
Dalla ricerca emerge che la relazione tra reddito e felicità non cresce linearmente nel tempo, all’inizio aumentano insieme, ma dopo una certa soglia e tempo, ogni ricchezza in più non solo non aumenta la felicità, ma l’andamento s’inverte e la felicità si stabilizza o decresce.
In sostanza, il reddito non è sufficiente a spiegare il benessere soggettivo. Negli anni successivi, questa ricerca, diventata famosa con il nome di “paradosso di Easterlin”, mette in crisi l’impostazione mondiale dei mercati indirizzati alla crescita misurata sulla base del PNL / PIL, economisti e psicologi iniziano ad interrogarsi su che cosa intendono le persone per “felicità”, che cosa le rende “felici”?
Michael Rustin, professore di sociologia presso l’Università di East London, nel 2007 pubblica un articolo dal titolo “Cosa c’è che non va nella felicità?”. “Lo scopo della società è la felicità comune”, in teoria, in quanto diritto umano, tutti meriteremmo di essere felici, così come tutti abbiamo diritto di poter nutrirci e avere una casa.
Ma cos’è diventata la felicità nella nostra epoca?
L’uomo contemporaneo tende a misurare il proprio benessere, anche interiore, sulla base della ricchezza personale: eppure questa equazione non sembra essere esatta. A dimostrarlo è uno studio pubblicato di recente sulla rivista Harvard Business Review: “Time for Happiness”. Un gruppo di economisti conducono un’indagine analizzando 100mila lavoratori adulti, da questo emerge che quelli disposti a dedicarsi al proprio tempo libero, anche a discapito di un guadagno maggiore, “instaurano relazioni sociali più profonde, hanno carriere più soddisfacenti, maggiori gioie e, complessivamente, vite più felici”.
Bauman nel libro “L’arte della vita” arriva nel 2009 a teorizzare la “coercizione a cercare la felicità”.
Secondo l’autore è necessario interrogarsi su quali siano i contenuti della felicità e come sia possibile raggiungerla. In questo mondo liquido-moderno, si è felici finché non si perde la speranza di essere felici in futuro, ma la speranza può rimanere viva solo a condizione di avere davanti a sé una serie di nuove occasioni e nuovi inizi in rapida successione.
Le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. La vita liquida, è, insomma, una vita precaria, vissuta in condizioni di continua incertezza”.
Nel libro, “L‘arte della vita”, Bauman afferma che, in una società consumista, la felicità non è uno stato definitivo ma una ricerca perenne. La felicità coinciderebbe con l’idea stessa dell’acquisto, un consumo che non deve avere mai fine: la fine della ricerca determinerebbe la fine della felicità stessa. Desideriamo il desiderio più che la realizzazione di esso. Quest’atteggiamento dà luogo ad una catena tendenzialmente infinita di frustrazioni e insoddisfazioni. In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, incluso l’essere umano con relazioni usa e getta.
L’uomo moderno sceglie l’atto del consumo come un modo per potersi affermare socialmente.
L’identità è manipolata dal consumo e, come la società stessa, cambia forma continuamente.
Secondo Bauman, partendo da questo presupposto, per vivere al meglio la vita è necessario porsi degli obiettivi, delle sfide che vadano ben oltre la nostra portata. La felicità è sfida, consapevolezza, presa di coscienza di quei problemi che la società non vede e non vuole.
Esercitare l’arte della vita significa così trovarsi in uno stato di trasformazione perpetua, è creare e ricreare sé stessi e il mondo sfuggendo all’incertezza che sembra rendere sempre più inaccessibile la felicità “autentica”, adeguata e totale.
Come possiamo allora ritrovare questa felicità?
La chiave, secondo Bauman, sta nel tornare a vivere le relazioni quotidiane e nella ricerca di soluzioni ai problemi: la nostra epoca è, infatti, composta da persone che nel ruolo di maschere, effettuano delle azioni dettate in larga parte dal consumismo, perdendo di vista i rapporti più genuini e mostrando a volte ciò che vorrebbero essere, ma non sono. Quando, per motivi diversi, non riusciamo a ottenere ciò che ci viene quasi imposto dal nostro sistema ci sentiamo tristi e insoddisfatti, generando un comportamento apatico e lamentoso, invece che attivare un comportamento attivo di risoluzione della frustrazione.
Dobbiamo ricercare dei valori che in qualche modo abbiamo perduto o dimenticato, nella ricerca dell’Altro forse potremmo ritrovare quei legami e quella felicità cui tanto aneliamo.

Marisa Paola Fontana

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