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Paradiso perduto, un eclatante plagio di Milton?

Sono tanti i critici letterari che si sono espressi sul Paradiso perduto di John Milton ritenendolo un plagio. Tra quelli che maggiormente hanno argomentato questa tesi ricordiamo Francesco Zicari da Paola, Sergio De Pilato, Tarquinio Vallese, Rocco Zagaria, Voltaire e Norman Douglas.  

L’opera che il poeta, scrittore, teologo e saggista inglese scrisse, anzi dettò alle figlie, in quanto era divenuto cieco – è a tutt’oggi ritenuta uno dei capolavori della letteratura inglese, ma come andremo a vedere non è stata tutta farina del suo sacco.

In particolare Zicari pubblicò un apposito saggio sotto forma di lettera, dedicato al suo amico Francesco Ruffa di Tropea, Regio revisore delle opere teatrali, spiegando che Milton per il suo Paradiso perduto si accostò all’ispirazione dal libro L’Adamo caduto scritto dal frate francescano padre Serafino da Salandra. La pubblicazione di Zicari ha per titolo Sulla scoperta dell’originale italiano da cui Milton trasse il suo poema del Paradiso perduto stamperia Nunzio Pasca, Napoli 1832, e successiva edizione presso Borel e Bompard, Napoli 1844.

Già nell’introduzione di questo lavoro emerge che quello era un tempo in cui alcuni celebri letterati europei scopiazzavano dagli scrittori italiani. Ma questo è un discorso che per affrontarlo come merita ci porterebbe molto lontani e tanti avversari non soltanto miltoniani.

Padre Serafino da Salandra dell’Ordine Francescano, predicatore, lettore e custode dell’ordine dei Riformati dell’intera provincia lucana, si dedicò a questo libro, probabilmente nel paesino dove era nato nel 1595, ossia Salandra, oggi in provincia di Matera.

È noto che il poeta inglese scrisse il Paradiso perduto tra il 1658 e il 1665 e lo pubblicò nel 1667. Ma l’edizione di padre Serafino da Salandra porta la data 1647, una tragedia sacra in cinque atti dal titolo, già citato, L’Adamo caduto (tipografia Moio e Rodella – Cosenza), i cui contenuti che troviamo nel lavoro del poeta inglese sono molto simili.

Nel 1932 lo studioso Norman Douglas confermò che padre Serafino e Milton, il quale parlava e scriveva anche in italiano e latino, si incontravano spesso a Napoli nella casa del marchese Giovanni Battista Manso, biografo del Tasso e fondatore nel 1611 dell’Accademia degli Oziosi.  Chi ne volesse sapere di più può consultare l’interessante libro di Douglas Vecchia Calabria (Giunti editore, 2000) e leggere il capitolo XXI dal titolo Viaggio in Calabria, da pagg. 239/257, dedicato completamente alla disamina del più che probabile plagio miltoniano.

Certamente, quanto stiamo asserendo è materia di letteratura comparata, ma non essendoci stati ulteriori studi ai quali fare riferimento per dissipare eventuali dubbi sul plagio, il nostro elucubrato passi pure come esercizio accademico e di testimonianza non solo per diradare la fitta nebbia londinese, quanto per rilevare che il copia incolla odierno abbondantemente abusato grazie alle tecnologie del web non è una novità, ma è un malcostume che viene da molto lontano.

Concludendo, manteniamo in qualunque campo e per quanto ci è possibile la verità, come dice un proverbio: “È meglio lasciare una lampada accesa che maledire l’oscurità”.

Bruno Cimino

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