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L’ombra del Covid-19 sul digiuno musulmano

Da pochi giorni, in tutti i paesi musulmani e tra i seguaci dell’Islam nel mondo, è iniziato, in momenti leggermente differenti, all’apparire della luna nuova, il sacro mese di Ramadān, in cui fu rivelato il Corano (Sura II, v. 185), dedicato al digiuno, che va osservato dall’alba al tramonto, con un’astinenza totale da cibi, bevande, fumo e rapporti sessuali. I musulmani lo considerano una grande opportunità di purificazione e di avvicinamento al proprio creatore Allah. La peculiarità è quella di essere un obbligo per i credenti adulti e sani anche se la stretta osservanza ostacola spesso il lavoro durante la giornata, mentre nelle notti si respira un’atmosfera di festa bevendo e mangiando insieme liberamente fino a quell’ora dell’alba in cui potrete distinguere un filo bianco da un filo nero (Sura II, versetto 187).
Ma quest’anno il Covid-19 ha messo in quarantena i gioiosi momenti di aggregazione e condivisione, sia nelle case che nelle moschee, tipici di questo periodo così importante, dedicato alla preghiera, alla meditazione e all’autodisciplina che, invece, trascorrerà e si concluderà nel silenzio, nell’isolamento e nella rigida chiusura. Non si terranno le preghiere collettive al tramonto, non ci sarà l’ifṭār, la cena che segna la fine quotidiana del digiuno, le moschee saranno chiuse. Anche in questo caso sarà la tecnologia, per lo più in streaming, a fornire ai fedeli le informazioni e i momenti di contatto che sono stati interdetti.
Il digiuno è uno dei cinque pilastri (akān) dell’Islam, una religione incentrata su un Dio unico, povera di elementi rituali. I principali si ricavano proprio dal Corano (Qur’ān), il Libro rivelato da Dio al Profeta Muḥammad mediante un angelo e derivato da un celeste Archetipo, e sono: la Professione di Fede (šahāda), la Preghiera (ṣalāt), il Digiuno (ṣaum), il Pellegrinaggio alla Mecca (hağğ) e la Decima (zakāt).

Il digiuno cade nel mese di Ramaḍān, che etimologicamente significa il torrido in quanto anticamente cadeva in estate, mentre ora, dopo la riforma coranica del calendario arabo, è il nono di dodici dell’anno lunare musulmano, di 29 o 30 giorni, ed è perciò mobile.
Poco prima dell’aurora viene consumato un pasto leggero, detto suhūr, per poter affrontare la giornata. Al calar della sera, viene interrotto con un dattero o un bicchiere d’acqua, cui segue il pasto serale. In questo periodo non bisogna litigare né mentire né calunniare né avere altri cattivi pensieri o compiere azioni malvagie.
Il digiuno, come pure il pellegrinaggio, affonda le proprie origini nelle tradizioni dei giudei e dei cristiani d’Arabia ai tempi del profeta Muhammad ed è una pratica che si ritrova nelle più disparate religioni.
La luna nuova del mese di Shawwāl inaugura una grande festa di tre giorni, chiamata ʿīd al-fiṭr (festa della interruzione del digiuno), che prevede il ricongiungimento con parenti ed amici, con relativi pranzi in famiglia e scambi di regali.
Per quest’anno il mondo musulmano dovrà rinunciare alle sue tradizioni di associazione, condivisione e a molte altre gioie.

Bruna Fiorentino

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