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Arte & Cultura

Il linguaggio cinematografico di Peter Greenaway

by Bruno Cimino

Da quando decise di dedicarsi all’arte cinematografica, Greenway voleva che i suoi film fossero “da vedere e rivedere”. E a nostro avviso c’è riuscito.

D’altronde, il grande regista inizia la sua attività artistica come pittore e un dipinto, quando piace, lo si vuole spesso rivedere.

Dovendo affiancare qualche appellativo al suo genio, possiamo scrivere: onirico, raffinato, ironico, pretenzioso e colto.

Peter Greenaway è nato il 15 aprile del 1942 a Newport in Gran Bretagna e a soli dodici anni decide che diventerà un pittore. Quattro anni dopo, influenzato dal film di Ingrid Bergman Il settimo sigillo, inizia a occuparsi di cinema. Ma la sua idea di fare cinema si espone a molte critiche perché ritenuto complesso per le sfaccettature a volte stravaganti e incomprensibili che presenta nelle sale. Ma lui continua imperterrito a sostenere storie pregne di simboli e didascalie culturali proiettati a dare una nuova lettura della vita. Ricordiamo che l’artista è ateo e per questo non si concede a scuole particolari di riferimento per essere inquadrato in dottrine social religiose.

Ebbe a dichiarare: “Il mio interesse per il cinema inizialmente è derivato dall’interesse per la tradizione della pittura europea e penso sia abbastanza facile capire che quando ci si trova davanti ad un dipinto di solito non si piange, non ci si dispera, non si ride … ed è appunto il rapporto tra colui che osserva ed il pittore che io ho sempre voluto considerare in alcune forme di pratica cinematografica”.

Senza entrare nel dettaglio delle trame dei suoi capolavori, sarebbero sinossi lunghe e complesse, ecco qualche messaggio veicolato dal regista: ne i Giochi nell’acqua (1988) c’è il mistero insoluto del pianeta donna ed emerge con il morboso rapporto sesso-cibo, l’ambiguità del bene e del male, la nascita senza retorica e la morte priva di toni drammatici. Seppure questo film sia passato quasi indenne ad una critica impietosa, andò meglio per Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante, essenzialmente perché i simboli culturali hanno assunto un ruolo più popolare.

Lo zoo di Venere (1985) è un film a dir poco visionario, il cui tema è la vita e la (ricorrente) morte, ed è ispirato dalle creazioni di grandi artisti della pittura. Alcuni critici lo hanno definito “Barocco e sensuale, si distingue per il kitsch affascinante che lo pervade in ogni scena”.

Luther and his legacy (2018) parla di Martin Lutero, il teologo che sconvolse la chiesa di Roma con la sua dottrina rivoluzionaria. È un documentario costruito con immagini artistiche che si susseguono accompagnate dalla voce dello stesso regista il quale indaga sulla vita e sulle contraddizioni del padre dei protestanti. 

Secondo Greenway il film Nightwatching (2007) “è un mélange tra Mick Jagger e Bill Gates”. Viene raccontata la vita di Rembrant, un mugnaio di provincia che a soli 23 anni diventa una celebrità.

L’insuperabile genio pittorico e cinematografico del nostro regista ha sviluppato temi tra i più ricercati nell’oceano dei cult movie. Ecco qualche altro titolo che sicuramente può far incuriosire l’appassionato di cinema d’autore, sicuri che esplorerà un filone ancora non adeguatamente celebrato: I Giardini del mistero di Compton House (1982); I racconti del cuscino (1995); Le valige di Tulse Luper (2003); Goltzius and the Pelican Company (2012); Elsestein in Messico (2015)

E non è tutto.

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