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Arte & Cultura

DEPRESSIONE ANTICA E DEPRESSIONE MODERNA BREVE EXCURSUS SULLA MELANCONIA

Il termine melanconia, dal greco mèlaina kolé (bile nera), dominò tutto il corso della fisiologia e della psicologia del Novecento.

Oltre ad indicare un particolare atteggiamento dello spirito, esso in epoca moderna, divenne gradualmente sinonimo di ansietà, stanchezza e depressione.

La storia della melanconia, decisamente affascinante, ha radici molto lontane ed è ricollegabile alla Teoria Umorale di Ippocrate di Coo (460 a.C.).

Secondo il pensiero di questo famoso medico greco, il corpo dell’uomo era dominato da quattro umori influenzati dai rispettivi pianeti: la bile gialla, il sangue, il flegma e la terribile bile nera (associata al pianeta Saturno); lo squilibrio quantitativo di uno solo tra questi elementi avrebbe, dunque, causato importanti alterazioni fisiche e mentali.

Nella fattispecie, l’eccesso di bile nera nella milza, avrebbe generato gravi disturbi psichici e la conseguente frammentazione dell’Io nel soggetto colpito; è doveroso, tuttavia, precisare che l’humor melancholicus nel romanticismo verrà semplicemente considerato una particolare disposizione dell’animo e le figure letterarie caratterizzate da questo temperamento distruttivo, dal Werther all’Ernani, saranno estremamente amate dal pubblico dei lettori.

Eccezion fatta per la parentesi ottocentesca, la melanconia fu, comunque, sempre ritenuta una malattia caratterizzata da un’insoddisfazione corrosiva e da un marcato odio verso il mondo esterno.

Non è quindi un caso se, tanto Galeno quanto la religiosa Ildegarda di Bingen (1098), definiscano i melanconici saturnini: «Tristi, timidi e incostanti di spirito. Sono come un vento alto che non è buono né per le erbe né per i frutti».

Vezio Valente nei suoi postulati, ascriveva sotto la categoria dei melanconici gli spregiatori di se stessi, i solitari, i deliranti, gli indolenti e i pazzi. Essi presentavano moltissimi sintomi riconducibili alla moderna depressione: «tendenze suicide, fuggono la conversazione, hanno lo sguardo sempre a terra».

Ma quali furono le misure mediche adottate per curare questa complessa malattia?

Dalla sedia rotante, pensata per riequilibrare i quattro umori, si passò purtroppo molto presto alla cauterizzazione (un foro nel cranio applicato «in media vertice»). Seguirono cure con la fustigazione, con i salassi, con la musica e perfino con le membrane di pipistrello per combattere l’insonnia, mentre le donne, per contrastare la natura secca di Saturno, furono costrette ad indossare corone composte da piante di natura acquatica (ad esempio il Ranunculus).

Infine, non mancò certamente il ricorso alla magia bianca attraverso un particolare amuleto (la mensula jovis) pensato per attirare le influenze salutifere di Giove e combattere la melanconia.

 

Ambra Belloni

 

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