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Casi giudiziari e bullismo: un’analisi dei principali orientamenti giurisprudenziali

Quali danni e quanti responsabili?

In questo articolo voglio occuparmi dell’applicazione pratica del diritto in fattispecie concrete di bullismo, analizzando recenti casi giudiziari e questioni giuridiche ad essi sottese. A tale scopo, occorre fare due ordini di precisazioni: in primis, l’ordinamento giuridico italiano – sebbene il dibattito parlamentare abbia generato proposte di legge al vaglio delle Camere – manchi di una normativa ad hoc sul bullismo. Provvedimento specifico, che, come ho approfondito in un precedente articolo ha interessato, invece, il cyberbullismo con la legge 71/2017; in secundis, al di là di un intervento legislativo, ad oggi ancora assente, le modalità in cui il bullismo è attuato comportano lo stesso conseguenze giuridiche rilevanti e, per questo, condannabili sia in sede penale (quando i fatti integrano fattispecie di reato), sia in sede civile (per ottenere il risarcimento dei danni).

Partiamo dalla disamina della sentenza datata 4 aprile 2018, n. 6919 del Tribunale di Roma[1].

Ripercorrendo brevemente la vicenda accertata, la persona offesa era uno studente sistematicamente bullizzato da un suo compagno di classe. Le stesse violenze verbali e fisiche si consumavano all’interno dell’Istituto tecnico da essi frequentato. La situazione diventava particolarmente insostenibile e grave una mattina, quando agli insulti fecero seguito spintoni e pugni al volto, tali da provocare la frattura del setto nasale e contusioni della regione orbitale – così come certificato da referto medico.

Il minore, vittima dei comportamenti persecutori, successivamente all’azione violenta fu sottoposto ad un intervento chirurgico, con 40 giorni di prognosi, e ad un periodo di convalescenza lungo (un mese di inabilità temporanea totale e ad un altro di inabilità temporanea al 50%), nel corso del quale si era reso necessario anche un supporto psichico, a fronte del riscontro di una invalidità permanente del 6%.

La sentenza sottolinea come la minore età dell’agente bullo abbia aggravato le responsabilità in gioco degli educatori, in considerazione del momento particolarmente formativo della personalità del minore.

Interrogato dinanzi al Tribunale, l’imputato ammetteva gli addebiti (artt. 594, 612 e 582 cp) eccetto che per le minacce di morte, da un lato, giustificando le offese, con l’intento di constatare una circostanza vera – cioè che la vittima “puzzasse” – e, dall’altro, dichiarando di “avergli sputato addosso, di averlo colpito con un pugno”.

Un peso significativo nella costituzione delle prove e nell’accertamento dei fatti è stato quello rivestito dai testimoni, i quali avevano confermato le dichiarazioni della vittima, relative alle vessazioni subite sia all’interno della scuola sia all’esterno di essa, rappresentando anche una generale omertà dell’Istituto scolastico.

È bene sottolineare che l’aggressione era già iniziata durante le lezioni e proseguita nel cortile della scuola, in presenza dei docenti e degli altri studenti. Nonostante Preside e Collegio docenti fossero stati informati delle reiterazioni del bullo, prima che sfociassero nell’accaduto più grave, né una presa di posizione né un provvedimento venivano esternati.

L’Istituto scolastico protraeva il silenzio anche dinanzi alle richieste risarcitorie avanzate dall’Avvocato della vittima, in ragione del comportamento omissivo dell’intero corpo docenti, rimasto inerte dinanzi alle segnalazioni degli studenti sulle azioni di bullismo. Tale comportamento omissivo assumeva particolare rilevanza, permettendo al bullo di continuare indisturbato, fino all’episodio da cui erano scaturite le lesioni.

Vale la pena ricordare che ai fini penalistici, ex art. 582 cp[2], rientrano nelle lesioni personali quelle cagionate mediante qualsiasi azione o omissione da cui deriva una malattia sia nel corpo che nella mente.

L’Istituto scolastico, pertanto, è stato ritenuto responsabile ex art. 2048 cc per le ingiurie e le minacce del minore nei confronti della persona offesa, avvenute durante l’orario delle lezioni, nonché per il reato di lesioni personali, appena richiamato, consumato nel cortile.

Ad emergere è stata l’inerzia della Scuola, rimasta inerte pur ricevendo, per il tramite del rappresentante di classe, periodiche segnalazioni, concernenti le vessazioni poste in atto dal bullo, le cui angherie erano cominciate dall’inizio dell’anno scolastico.

I Professori durante le riunioni del Collegio docenti avevano convenuto di lasciare agli studenti il compito di parlare con la famiglia della vittima, per affrontare la questione relativa all’igiene personale del ragazzo, decidendo di evitare un confronto diretto, per comprendere e risolvere le cause di un probabile disagio vissuto. Il loro intervento sarebbe avvenuto solo laddove il primo tentativo degli studenti si fosse rivelato infruttuoso. Di tal che, la mancanza di un intervento di Preside e docenti risultava ascrivibile ad una loro culpa in vigilando, essendo venuti meno ai loro obblighi di legge.

Sulla base dell’art. 2048, comma 2 e ss. c.c.: “i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza […] e sono liberate dalla responsabilità solo se provano di non aver potuto impedire il fatto”. “È a carico della scuola la prova del fatto impeditivo e cioè dell’inevitabilità del danno nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee a evitare il fatto, da allegare e provare in relazione al caso concreto (Cass. n. 8811/20; Cass. n. 9983/2019; Cass. n. 6444/2016; Cass. n. 15321/2003)”.

Accanto alla responsabilità della scuola, il Tribunale riconosceva anche la responsabilità in solido dei genitori del bullo e del Miur, condannati a pagare il risarcimento dei danni (danni da lesioni fisiche, danni esistenziali e relazionali), oltre ad interessi e spese legali.

La responsabilità dei genitori per gli atti di bullismo del figlio minore può essere riconosciuta ad entrambi, nonostante un eventuale divorzio. Nella fattispecie affrontata dal Tribunale di Roma il divorzio ed il successivo trasferimento della madre (con conseguente allontanamento dal figlio) non sono stati ritenuti una motivazione utile ad esimere dall’obbligo di educare, istruire e assistere moralmente il figlio adolescente (art. 147 cc), obbligo da cui discende la culpa in vigilando.

Nella Sentenza della Corte di Cassazione n. 4152 del 23.02.2019, leggiamo che la responsabilità dei genitori per i figli minori in custodia si fonda sull’art. 2048 cc, salvo che provino di non aver potuto evitare il fatto. Il caso affrontato dalla Cassazione dava modo di specificare, inoltre, che un procedimento penale minorile, concluso con il perdono giudiziale, consente di formulare in sede civile una richiesta di risarcimento, poiché la dinamica e la veridicità dei fatti sono comunque stati accertati.

I genitori dell’imputato adolescente, che aveva ottenuto il perdono giudiziale in sede penale, infatti, erano stati poi condannati al risarcimento del danno in sede civile, per non aver impartito adeguatamente al figlio minore un’educazione improntata al rispetto del prossimo.

È altresì ravvisabile la responsabilità del Miur, strettamente fondata sulla sua legittimazione passiva, derivante dalla circostanza che le amministrazioni scolastiche agiscono in veste di organi statali riferibili direttamente al Ministero. Quest’ultimo, di recente ha mostrato insofferenza nei confronti di suddetta interpretazione. Una sentenza del Tribunale di Potenza – n. 380 del 2021 [3] ponendosi sulla scia della giurisprudenza finora citata – nell’accogliere la richiesta risarcitoria avanzata dal genitore di un minore bullizzato ha affrontato anche tale questione processuale, condannando il Miur all’ulteriore pagamento di una somma equitativamente determinata, per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 cpc[4].

La pretesa del genitore, per i danni patiti dal figlio minore dopo un’aggressione fisica all’interno della scuola, per mano di un coetaneo, nasceva dal mancato controllo da parte del docente sia prima dell’aggressione[5] sia successivamente ad essa. È interessante notare che, in questo caso, il Miur, chiamato in giudizio ai fini di tale risarcimento del danno patrimoniale, eccepiva il difetto di legittimazione passiva, sostenendo che l’eventuale responsabilità del fatto dovesse essere addebitata all’istituto scolastico ovvero ai genitori dell’alunno aggressore.

La contestazione relativa alla mancanza di legittimità passiva del Miur veniva puntualmente respinta dal giudice che ribadiva il principio ex d.P.R. n. 275/99, secondo cui le amministrazioni scolastiche restano organi del Ministero, nonostante la riconosciuta autonomia gestionale ed amministrativa.

In sostanza, secondo il giudice, l’eccezione sollevata dal Miur era pretestuosa, estrinsecandosi in un abuso del processo: “un’eccezione del tutto dilatoria, superata da decenni di univoca giurisprudenza contraria alla tesi sostenuta dal convenuto e da questi ben nota per la serialità ultradecennale delle questioni trattate.

Va rammentato che la responsabilità patrimoniale della Scuola e del docente nei confronti di eventuali danneggiati è regolata dall’art. 574 del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297. Il danneggiato può fare causa allo Stato per un fatto che riguarda astrattamente la responsabilità dell’insegnante, per un fatto che si verifichi “in connessione a comportamenti degli alunni” e “nell’esercizio della vigilanza sugli alunni stessi”.

La rivalsa del Miur, in riferimento alla responsabilità patrimoniale, è eseguibile nei confronti del proprio personale scolastico, per danni arrecati direttamente alla Amministrazione, solo in casi di dolo o colpa grave nell’esercizio della vigilanza sugli alunni stessi.

In mancanza di prova contraria e ritenuta sufficientemente provata la condotta omissiva dell’insegnante, il Tribunale di Potenza condannava il Miur al risarcimento di danni patrimoniali e non patrimoniali, oltre alle spese di liti e alla somma ex art. 96 cpc. Quanto ai danni patrimoniali, il CTU “ha stimato un danno emergente […] per le spese odontoiatriche che il minore ha sostenuto e dovrà sostenere per le terapie e cure occasionati dalla lesione degli incisivi inferiori”. In riferimento ai danni non patrimoniali, il Tribunale di Potenza riconosceva il danno morale, diritto autonomo, rispetto al danno biologico, e rappresentato da una sofferenza interiore che comporta sentimenti negativi, come paura, disperazione, vergogna e disistima. Tale turbamento d’animo si era verificato nel bambino, che, una volta picchiato, era rimasto nel bagno da solo, per il disagio provato, tornando a scuola solo dopo alcuni giorni dall’evento.


[1] Sentenza consultabile sul portale ilMerito.it Quotidiano della Giurisprudenza https://www.ilmerito.it/bancadati/index.php?pag_id=39&catid=1387&tipo=4.

[2] Art. 582 cp Lesione personale: Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 61 numero 11-octies, 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel numero 1 e nell’ultima parte dell’articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa.

[3]Sentenza liberamente consultabile e scaricabile qui

[4] Art. 96 cpc: Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza.

Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.

In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.

[5] Nella fattispecie in esame, l’insegnante si accorgeva dell’assenza del bambino solo dopo 45 min dal suo allontanamento dalla classe.

[1]Sentenza liberamente consultabile e scaricabile qui
[2] Art. 96 cpc: Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza. Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.
[3] Nella fattispecie in esame, l’insegnante si accorgeva dell’assenza del bambino solo dopo 45 min dal suo allontanamento dalla classe.

Carmelina Sessa

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