In Sicilia le ultime scoperte riscrivono la storia e lasciano senza fiato

L’Isola sta vivendo la più straordinaria stagione della sua archeologia, con 73 campagne di ricerca che stanno portando alla luce fra le altre scoperte, un teatro ellenistico e un tempio greco ad Agrigento, una città greco-romana nel Messinese, necropoli preistoriche nell’Ennese e navi romane nel mare di fronte a Palermo.

A esplorare il sottosuolo e i fondali di quest’avamposto dell’era classica nel cuore del Mediterraneo sono le università di tutto il mondo, che si affidano per gli scavi alle mani di studiosi giovani e vere e proprie leggende viventi dell’archeologia.

“Era un giorno d’autunno – ricorda Francesca Spatafora, archeologa palermitana – un operaio stava sistemando e venne fuori la parte inferiore di un blocco di marmo lavorato: era qualcosa di grosso: chiamammo il sovrintendente dell’epoca, Vincenzo Tusa, e ricominciammo a scavare. Era una statua alta un metro e ottanta, con la testa staccata dal corpo ma perfettamente coincidente”.

Le campagne in corso sono tantissime. Ciascuna delle province siciliane ne ha almeno una. A Calascibetta, nell’Ennese, si lavora su una necropoli preistorica, il nuovo sito più sorprendente è forse quello di Tusa, in provincia di Messina: le università di Palermo, Messina, Oxford e Amiens stanno riportando alla luce pezzo dopo pezzo una città fondata dai greci e poi conquistata dai romani, Halaesa Arconidea, scoprendovi teatri, basi di templi, un’acropoli e un sistema difensivo. “Invece di iniziative spot isolate una dall’altra – sottolinea l’assessore regionale ai Beni culturali, Alberto Samonà – abbiamo intrapreso un cammino a più mani, grazie alle collaborazioni con le università e con gli istituti di ricerca per riportare alla luce le testimonianze del passato, in grande stile, attraverso ricerche disseminate sul territorio siculo, dappertutto, in terra e in mare. Il futuro della Sicilia passa dalla riscoperta del nostro passato”.

Un’intuizione che, del resto, è l’eredità di Sebastiano Tusa. L’assessore-archeologo scomparso nella tragedia del Boeing 737 Max in Etiopia nel 2019, ha lasciato un’eredità politica e scientifica che si traduce soprattutto nelle ricerche in corso nel suo campo preferito, il mare: al largo di Isola delle Femmine, dove è stata scoperta una nave romana, ma soprattutto sul fondale delle Isole Egadi, dove la scoperta di un’enorme quantità di rostri sta permettendo di riscrivere l’epilogo della prima guerra punica. “Eravamo abituati a pensare che la Battaglia delle Egadi fosse stata combattuta a Cala Rossa, a Favignana – spiega Valeria Li Vigni – ma adesso si ottenne invece la certezza che la presenza di innumerevoli ancore lasciate sul fondo a Cala Minnola, a Levanzo, fosse la testimonianza di un appostamento per colpire di sorpresa le truppe cartaginesi”. Ne è venuto fuori un tesoro mozzafiato.

I Tusa, però, non sono gli unici pionieri dell’archeologia siciliana. Giuseppe Voza, 94 anni, che parla  con l’emozione dei primi giorni, ha scavato per sei decenni in Sicilia, facendo alcune tra le più belle scoperte dell’Isola: fu lui, nei primi anni Settanta, riconoscendo, in una stalla, i mosaici della villa del Tellaro o, più tardi, a far deviare l’allora costruenda autostrada Palermo-Messina per avere scorto in uno dei cantieri alcune tessere musive di quella che è oggi la domus romana di Patti Marina. La folgorazione avvenne un giorno del primo dopoguerra, quando la sua strada si incrociò con quella di Luigi Bernabò Brea, uno dei padri fondatori dell’archeologia moderna. “Ne rimasi affascinato – racconta – e allora gli dissi di alcune scoperte fittili simili a quelle da lui rinvenute a Lipari. Mi chiese di andare per tre mesi in Sicilia a lavorare con lui. Andai e quei mesi diventarono 60 anni”. Tra le sue tante scoperte, quella che ricorda con più entusiasmo è la grande area sacra sotto piazza Duomo, a Siracusa. “Un lavoro meraviglioso – commenta – ricordo che in piazza c’era un oleandro, proprio davanti a palazzo Beneventano, e sotto le sue radici trovai un vaso con la raffigurazione di Artemide ‘domatrice delle belve’. Era la prova che il tempio ionico sotto il municipio, poco distante, fosse dedicato a questa dea”. L’elenco delle sue scoperte è infinito.

Quest’eredità, adesso, dev’essere portata avanti dai giovani ricercatori impegnati in Sicilia. Lo sa bene Daniele Malfitana, che dirige la Scuola di specializzazione in Archeologia dell’università di Catania per “trasmettere il mestiere”.

La Sicilia si sta riscoprendo ancora una volta magica e ricchissima, senza effetti speciali, perché ad essere speciale è il suo passato. Ad maiora!

Marino Ceci

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