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Una vocazione sbagliata

Nei confronti della monaca Geltrude, figura letteraria di spicco nei Promessi Sposi, Manzoni operò una scelta molto coraggiosa, portando a termine il più profondo e completo squarcio psicologico di un personaggio.

Ispirandosi alla storia della religiosa Marianna de Leyva, che con la sua storia sconvolse la Monza del XVII secolo, l’autore scelse di inserire tra le pagine della sua opera una monaca la cui vocazione fu imposta dalla volontà paterna, colpevole di scandali sentimentali e complice di un omicidio.

Attraverso una sublime tecnica narrativa, tuttavia, riuscì a trasformarla in un personaggio che merita piena comprensione da parte del lettore e del narratore stesso, facendo leva su quella violenza sistematica e oppressiva che tormentò «la poveretta» fin dalla sua nascita, segnando in maniera indelebile il suo destino.

La storia di Geltrude, che nella prima versione dei Promessi Sposi costituiva per la sua lunghezza quasi un romanzo nel romanzo, stette particolarmente a cuore all’autore, che volle denunciare l’annientamento della volontà di una ragazza destinata fin da bambina alla monacazione (del resto questo, era nella maggior parte dei casi, il destino riservato ai figli cadetti dei nobili).

La giovane monaca percepisce il suo destino come un sacrificio, mentre continua a sognare la vita mondana, le gioie al di fuori del chiostro e l’amore; Di Benedetto ha addirittura parlato di un «continuo impulso a godere» che domina interamente l’anima «dell’infelice».

La condanna di Manzoni è, dunque, rivolta non alla storia d’amore che Geltrude decide di vivere con il giovane scapestrato Egidio (macchiandosi anche dell’omicidio di una conversa, colpevole di aver scoperto il loro segreto), quanto piuttosto alle usanze del secolo e «all’ottuso orgoglio di casta».

Trovando riparo nel convento di Monza, Lucia percepisce subito la differenza della monaca rispetto alle altre, attraverso dei dettagli descrittivi che Manzoni dovette stemperare rispetto al Fermo e Lucia: «Due occhi neri, che si fissavano talora in viso alle persone con un’investigazione superba. Certe mosse repentine, irregolari e troppo risolute per una donna. La vita era attillata con una certa secolaresca, e dalla benda usciva sur una tempia una ciocchettina di capelli neri, cosa che dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola».

Riguardo le modifiche apportate nel corso del tempo alla figura di Geltrude, l’autore decise di smorzare anche l’esasperazione della ragazza dopo l’uccisione della conversa, non accennando più alle sue ipotesi di fuga, al tentativo di suicidio, alla testa contro il muro, alle urla e alle bestemmie.

La fragilità di Geltrude, mascherata dal suo atteggiamento ostile, la rende, dunque, una figura incredibilmente complessa, intrappolata in un continuo stato di guerra mentale con se stessa, e perfettamente in grado di condurci alle soglie del moderno.

La sorprendente e affascinante materialità del personaggio ha, inoltre, ispirato molte delle eroine romantiche dei romanzi ottocenteschi, da Flaubert a Stendhal, restando impressa nelle menti dei lettori.

 

Ambra Belloni

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