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Le nuove modalità del lavoro

Nuove modalità di occupazione si propongono nel XXI secolo. Il Coronavirus anticipa la rivoluzione digitale che stravolge il modo filosofico del lavoro conosciuto nel XX secolo. Le nuove frontiere dell’economia devono tenere presente le trasformazioni costanti registrate nella società.

Le modalità contrattuali di lavoro cambiano velocemente specialmente dopo l’emergenza sanitaria del Coronavirus che ha valorizzato il digitale. Questo cambiamento è avvenuto anche nella scuola con la didattica a distanza, metodologia formativa innovativa adottata durante il lockdown a causa del Coronavirus, dove gli insegnanti hanno conosciuto gli strumenti tecnologici dell’insegnamento online. Il nuovo paradigma sociale ed economico sta stravolgendo le abitudini delle persone costantemente in cambiamento. L’occupazione diventa un argomento centrale nella nuova società del XXI secolo dove il digitale e la tecnologia possono sostituire professionalità del XX secolo, a beneficio di altre figure professionali con specifiche competenze per il web. Con Paolo Cerra, Fondatore e General manager di Skillsjobs, approfondiamo l’argomento per cercare di analizzare questa rivoluzione economica e sociale.

Come cambia il lavoro?
«Le nuove tecnologie impattano sempre di più sul modo di concepire il lavoro stesso, non solo più la lotta luddista tra uomo e “macchina” nei lavori prettamente manuali, iter che comunque continuerà, ma tecnologie sempre più avanzate come robot chat, intelligenza artificiale che stanno entrando anche in ambiti in cui l’uomo prima era visto come indispensabile. La tecnologia lavora anche in un altro senso, cambiando le abitudini del lavoro, rendendo sempre più facile il lavoro da remoto, la reperibilità giorno e notte, senza dimenticare lo smart working. Un’altra forza, per certi versi di senso opposto, cerca di recuperare l’unicità della figura umana, andando a lavorare sulle caratteristiche comportamentali personali di ciascuno di noi, cioè sulle soft skills, sempre più richieste in fase di selezione».

Quali profili professionali subiscono il mutamento economico?
«I lavori con meno competenze personali sono maggiormente sostituibili, sia da manodopera a costi inferiori, sia dall’impiego di nuovi macchinari. Ma anche figure professionali ritenute, sino ad oggi, socialmente elevate, subiscono gli effetti del mutamento delle condizioni; basti pensare al mondo delle banche, il cui business di base sempre di più subisce la concorrenza dei prodotti online o delle innovazioni, con ovvie ripercussioni sulle figure professionali che vi lavorano, oppure al mondo dei negozi di elettronica che subisce concorrenza analoga».

Trovare un’occupazione è difficile. Perché l’Italia ha sempre avuto questo problema?
«Le radici del problema in Italia sono storiche e molto legate alle nostre abitudine e al nostro modo di essere. Spesso è semplice “buttarla” in politica e dire che non si sono fatte le riforme necessarie per rendere maggiormente competitivo il mondo del lavoro, ma, a mio parere, la cosa è in parte dovuta anche a noi stessi. In Italia il lavoro è spesso stato di tipo clientelare, si trovava occupazione su raccomandazioni o anche solo su segnalazioni, in modo quasi clientelare, con poco spazio alla meritocrazia e questo nel tempo ha portato le persone ad accontentarsi del primo lavoro trovato perché era il più semplice da andare ad occupare, non richiedeva sforzi di ricerca e poca competizione. Il culto del “posto fisso” ha incancrenito il mercato del lavoro perché da un lato ha spinto la politica, su sollecitazione delle imprese, a fare riforme che riducessero le tutele per chi entrava nel mondo del lavoro senza intaccare le “vecchie” posizioni, generando quindi precarietà nei giovani. Dall’altro lato spesso imprenditori ed aziende hanno utilizzato “ad arte” le riforme, gli incentivi senza creare una nuova occupazione ma andando a sostituire lavoratori “costosi” con altri più economici. Bisognerebbe rendere il mercato del lavoro maggiormente flessibile, sia in entrata sia in uscita, aumentando sanzioni e controlli per le aziende che utilizzano in maniera errata la flessibilità, al fine di evitare di creare precarietà».

Francesco Fravolini

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