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Ambiente & Società

La società “mercato-cratica”: il diritto al fallimento

Disagio e produttività, sono due parole sempre più connesse l’un l’altra. Una società “mercato-cratica”, mossa dalle leggi del mercato, motore propulsivo e scopo del vivere.

“La vostra università ci uccide”: è la scritta che gli studenti  hanno scritto a caratteri cubitali su Palazzo Giusso, una delle sedi dell’Orientale di Napoli. “Non si può morire di università”, recita lo striscione davanti a Economia a Palermo. “Pretendono che siamo infallibili e chi non ce la fa è un fallito”, si legge su un cartello alla Federico II.

Emerge lo sconforto che si vive esternamente nella società, anche all’interno dei luoghi della cultura.

L’ansia da competizione continua, l’inseguimento del risultato perfetto, la retorica della performance da record, quella della laurea in pochi mesi come mito che spopola negli spot sui media. Non è questa l’università che chiedono gli studenti. Non più. 

Ora, oltre al diritto allo studio, gli universitari pretendono il diritto a uno studio che contempli la possibilità di fallire, la necessità di rallentare, il bisogno di mostrare fragilità che spaventano. Lo hanno urlato nei sit-in, scritto sugli striscioni e sui social, lo hanno detto a Mattarella e alla ministra Bernini. Un grido di aiuto che si è fatto protesta politica, dopo le grida di dolore da cronaca nera.

Il bisogno di essere umani, diventa lampante in una società che di umano conserva solo la caratteristica di perfettibilità.

E ad appoggiare la tesi, i dati Istat: tra i 20 e i 34 anni, il suicidio rappresenta il 12% dei decessi. Ce ne sono stati più di dieci tra gli universitari negli ultimi tre anni. Negli atenei italiani studiano in quasi due milioni. 

Tra i diritti degli studenti appare questo grido di aiuto, non più solo investimenti, residenze, mense, aule ma, al primo posto, la salute mentale. Fino a mettere in discussione l’intero sistema universitario basato sul giudizio, la competizione, la performance, la corsa all’esame e alla laurea per non finire fuoricorso (sulla regolarità agli studi gli atenei sono premiati nel meccanismo introddotto dalla riforma Gelmini), per non vedersi buttar fuori dagli alloggi, per non perdere le borse di studio, per non farsi aumentare le tasse o per non far crollare la propria università nei ranking nazionali e internazionali. Pensare che anche chi fa richiesta di permesso di soggiorno per studio è nei problemi se non in regola con il corso di studi. Ad ogni buon conto, nulla di nuovo se si considera che all’estero, in Francia, molte Università come la Sorbonne, si sono dotate di uno sportello psicologico di sostegno agli studenti, visto il tasso di suicidio negli anni scolari.

Di Marino Ceci

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