Non si può chiedere ad un depresso: “reagisci“, è la pretesa più sciocca che si possa manifestare, dal momento che lo stato di depressione non è imputabile alla volontà di chi ne soffre, ma ha delle proprie cause e concause, sia esogene che endogene che non si possono eliminare con un colpo di spugna.
Occorrono per l’appunto interventi mirati da parte di esperti, quali psicologi o psichiatri, a seconda della patologia da considerare. Va detto che la persona affetta da depressione, dal lat. depressio- onis, che significa abbattimento spirituale e fisico, inefficienza dello stato di concentrazione e del pensiero, è consapevole di soffrire, come di generare in chi la circonda altrettanta sofferenza . Si pensa che il depresso sia semplicemente uno sfaticato, uno che se ne approfitta, che gioca sul suo stato per crogiolarsi nella pigrizia, un egoista, un vile, uno che se ne frega perfino degli altri. Uno che non rispetta i veri malati, un esibizionista, uno che desidera stare male. Questa ingiusta etichetta, specialmente se palesata dai parenti e dagli amici del depresso, nonché dal suo stesso contesto di relazioni, come la scuola, il lavoro, non aiuta certamente l’ammalato a guarire o a migliorare, tutt’altro abbassa il suo livello già compromesso di autostima e in certi casi lo fa sentire colpevole, inadeguato, incapace. Senza rendercene conto, potremmo essere noi stessi, con le sollecitazioni più sbagliate o con i rimproveri, a peggiorare la situazione.
Un altro atteggiamento decisamente lesivo è la voluta indifferenza. “Ti lascio solo, così rifletti, maturi, oppure ti arrangi, visto che ti ostini a non collaborare“. La condizione del depresso non è un atteggiamento o una presa di posizione, non è neanche codardia o assenza di solerzia, il depresso sta male e necessita di cure. Se avessimo la febbre e qualcuno ci dicesse: “dai reagisci, vatti a fare una corsetta che ti passa“, noi lo prenderemmo per matto e ci arrabbieremmo con lui. La febbre va curata e solo in seguito possiamo permetterci di farci una corsa.
Va poi valutato un aspetto non secondario che accomuna la maggior parte dei depressi, ovvero la profonda sensibilità e il più delle volte un immenso carico di vena artistica. Molti depressi sono creativi e hanno particolari talenti come la velleità per la musica, per la pittura, per la danza o il canto, per la scrittura. Secondo Aristotele tutti i geni erano malinconici, perfino dal punto di vista scientifico esistono studi che collegano la malattia definita maniaco-depressiva, alla creatività. La poetessa folle Alda Merini, nota per i suoi lunghi anni trascorsi in manicomio, era in cura presso uno psichiatra. Il numero degli artisti depressi potrebbe essere infinito, ma possiamo considerarne solo alcuni, come lo stesso Shakespeare , per poi continuare, da Baudelaire a Victor Hugo, da Andersen a Ibsen, da Michelangelo a Gauguin, da William Blake a Edgar Allan Poe, da Gesualdo a Rossini.
Molti dei depressi che sembrano appesantire le nostre giornate e tante volte ci rendono la vita impossibile, sono in realtà persone da amare e stimare per la loro innata bellezza emotiva. E chissà che non sia proprio questa l’unica strada per garantirne la guarigione.
Eleonora Giovannini