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L’ultimo compact disc di Stefano Barotti è Il grande temporale

L’album è in uscita il 10 ottobre 2020 per la Stanza Nascosta Records registrato tra l’Italia e gli Stati Uniti con un cast musicale d’eccezione. Tra gli ospiti speciali Joe e Marc Pisapia, Jono Manson, Mark Clark e John Egenes

Novità musicali in arrivo. Il 10 ottobre 2020 esce su tutte le piattaforme digitali “Il grande temporale”, quarto disco ufficiale del cantautore Stefano Barotti. L’album, distribuito da “La Stanza Nascosta Records” di Salvatore Papotto, è disponibile anche in formato fisico, sia nella versione CD sia in vinile. Registrato tra l’Italia e gli Stati Uniti, “Il grande temporale” è estremamente ricco dal punto di vista della produzione e delle sonorità e annovera un cast musicale d’eccezione. Tra gli ospiti speciali (dagli Stati Uniti e non solo) ci sono Joe e Marc Pisa-pia, Jono Manson, Mark Clark e John Egenes. Alla produzione artistica hanno partecipato Fabrizio Sisti (prezioso il suo contributo alle tastiere, al piano, ai sintetizzatori e all’organo Hammond), Alessio Bertelli, ingegnere del suo-no, e il batterista Vladimiro Carboni. Due le voci femminili, la bravissima Veronica Sbergia e l’esordiente Laura Bassani. Gli arrangiamenti e la direzione degli archi sono stati curati da Roberto Martinelli.

L’album
Circonfuso da un’aura deliziosamente vintage, Il grande temporale trascende la folk song abbinando l’impiego di sintetizzatori e chitarre elettriche à la Wilco (si ascolti la title-track) a felici divagazioni jazzy (Enzo, Tutto nuovo), tentazioni reggae (Painter Loser) e riusciti echi blues. Celebrazione crepuscolare del quotidiano e sguardo visionario si intrecciano in un album sorprendente e percussivo come un temporale. Un viaggio di scoperta, di disobbedienza e libertà (con uno slancio rivoluzionario affine a quello di Jannacci, non a caso omaggiato in Enzo), in bilico tra retrospettiva nostalgica e vertiginosa proiezione, divertissement (Mi ha telefonato Tom Waits) e topical songwriting (Marta, Aleppo). Con Stefano Barotti vogliamo conoscere le innovazioni musicali e narrative del suo ultimo album.

Cosa ti distingue dai famosi cantautori italiani?
«Non saprei definire cosa mi distingue dai famosi cantautori italiani, certamente conosco ciò che mi hanno dato artisticamente. Da tutti ho preso qualcosa, cercando di utilizzare quel qualcosa per architettare meglio le mie canzoni. Un aspetto che forse mi contraddistingue è il grande utilizzo dei tempi terzinati: 3,6 e 12 ottavi. Da anni, per me, è diventato un must, se così si può dire».

Nell’album evidenzi in musica la disobbedienza e la libertà. Perché?
«Fare canzoni è già di per sé libertà ed è, in qualche modo, anche una forma di disobbedienza a come il sistema ci vorrebbe. Specie quello occidentale. Nel disco il concetto di libertà è legato molto ai sentimenti, l’amore in particolar modo. Tutti dovrebbero essere liberi nel proprio cuore e nel cuore degli altri. E questo è un concetto che si lega anche al fare musica oggi secondo me. Prendere le distanze dalle etichette, le mode e l’apparire, dedicandosi alla musica, al fare musica e farla come più ci piace. Rischiando di essere dei “loser” ma è il solo modo che conosco per riuscire a scrivere canzoni e cantarle in pubblico. Cercare in qualche modo la bellezza delle cose e condividerle con gli altri».

Quali innovazioni hai inserito negli arrangiamenti e nella narrazione testuale?
«La narrazione testuale è cambiata solo dal punto di vista tecnico. Uso molto meno le rime e le assonanze rispetto al passato. In queste canzoni ho cercato di far funzionare i testi senza incastrarli nei metodi classici. Restano invece i richiami alle immagini per mezzo delle parole. Da sempre mi piace scrivere canzoni fotografiche. Riguardo gli arrangiamenti ho virato molto rispetto ai dischi precedenti, uscendo dal songwriting classico e lasciando molto spazio a nuove sonorità come, per esempio, l’uso di sintetizzatori o l’inserimento di voci femminili. Cosa che prima non avevo mai sperimentato. Questo anche grazie ai musicisti che hanno suonato nel disco, ai quali ho lasciato carta bianca su molte cose. Diciamo che è un disco dove la musica è meno a disposizione dei testi. Invecchiando riesco a legarle meglio. Musica e parole».

Francesco Fravolini

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