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Arte & Cultura

Il film visionario MILVA: l’intervista prosegue.

Nel precedente articolo, in occasione intervistavamo il regista Nico Capogna che è stato premiato al Festival del Cinema Europeo con il suo film visionario Milva. A seguire, il prosieguo dell’intervista.

  • La storia che tu plasmi a realtà è per te, è pura provocazione o c’è un fondo di possibile concretizzazione? 

Devo premettere che la fiammella di questo progetto si è accesa nel momento in cui mi sono imbattuto in un articolo nel lontano 2015. In esso si preannunciava che l’Ass. Canapuglia di Conversano avrebbe attivato di lì a poco un progetto che prevedeva la coltivazione di canapa intorno all’Ilva. Il progetto partì dalla masseria di Vincenzo Fornaro, il quale qualche anno prima fu costretto a macellare gli animali con cui faceva produzioni alimentari perché affetti da diossina.

Il fatto che la canapa possa da un lato bonificare il siderurgico e dall’altro innescare un’economia verde penso che sia di per sé una idea bella e utile. Riguardo alla canapa, essa ha importanti proprietà di fitorisanamento del terreno, tanto da essere stata utilizzata per la bonifica nei territori della strage di Chernobyl. Il tema quindi è molto attuale e vivo. Io per primo credo che le nostre realtà produttive, a partire da quelle più inquinanti come l’ex Italsider di Taranto, debbano prima di tutto ridefinirsi, dando priorità alla sostenibilità ambientale dei processi, piuttosto che al mero guadagno economico. Le relazioni internazionali sull’ecosistema gridano a viva voce che il mondo sta soffrendo e si sta ammalando: dovremmo prenderne atto tutti, il prima possibile.

  • Qual è stata la risposta della politica e delle istituzioni a Milva? 

Anche se può sembrare strano, per adesso la parte politica, ogni volta che è stata coinvolta, ha visto e recepito il progetto con forte interesse. Il punto è che si sta parlando di un documentario. La domanda che ci si potrebbe porre è quanto possa essere preso come uno specchio per le allodole o la scusa di una promessa.

  • La politica ti sembra recettiva o attiva in questa “chiamata all’azione”, per citare gli schemi narrativi del cinema… ?

Mi spiace dirlo, ma sono molto amareggiato: quando si parla di logiche ambientali che vanno contro le logiche economiche, tutto si immobilizza, e quello che rimane nell’aria sono solo tante parole, tante promesse, e tanti obiettivi che non si raggiungono e tante promesse. 

  • Tornando al caso specifico Ilva: cosa ostacola per te una soluzione al “probema”?

Non sono un politico e non ambisco a farlo, quindi sono estraneo dalle logiche e dagli interessi economici e produttivi che possono esserci dietro alla più grande acciaieria d’Europa. Non voglio neanche immaginare cosa sottenda agli accordi e documenti prodotti nei 60 anni di storia di questa fabbrica. Il problema non sono i progetti di riconversione e le alternative, ce ne sono tantissime. Il problema sono gli accordi miliardari, quelli sono difficili da bonificare. Credo che un politico che abbia fatto carriera e poi sia uscito dal giro possa essere l’unico a poter dire “Ho visto cose che voi umani non potreste mai immaginare” come diceva l’androide che aveva viaggiato nello spazio nel film di Blade Runner. È brutto dirlo, ma viviamo in un sistema economico, tutto il resto è accessorio o solo di facciata. Spero col cuore che questo trend, per il benessere e il futuro dei miei figli, possa un giorno cambiare, con fatti e azioni, reali.

  • I cittadini di un posto hanno sempre un ottica e conoscenza del luogo più “vera” o semplicemente differente. Qual è la tua “nuova” verità del luogo? 

Una delle cose che ho scoperto con tanto interesse nel realizzare questo progetto è stata la scarsa correlazione tra il lavoro dei tarantini e questa grande industria. Prima di cominciare le riprese davo per scontato che molti tarantini non volessero la chiusura (o riconversione) dell’ex Ilva per motivi collegati al lavoro. La verità è che oggi, fra cassa integrati, tagli vari e assunzioni fuori area, sono rimasti veramente in pochi i tarantini che lavorano nell’azienda. Questo tipo di ragionamento aveva un senso qualche decennio fa. Quindi sono stato colpito da quanti movimenti, quanta passione, quanta rabbia e tristezza permea il tessuto sociale di Taranto. Stanno riducendo a un colabrodo un territorio fantastico, con un mare che sarebbe bellissimo. Taranto è una città piena di fascino e di storia, e con profonde (e buonissime) tradizioni culinarie. È stato quindi illuminante vedere tanta consapevolezza nei tarantini, con l’idea che questo mostro economico e inquinante non lo vuole più nessuno. Tutti sono consapevoli, oggi, che la loro terra possa offrire molto di più, qualcosa di molto più unico che di una fabbrica posizionata lì decenni fa. Fu costruita a Taranto con l’intento di contrastare una (presunta) antica povertà. Una povertà che per lo meno doveva adeguarsi al boom economico: cioè far diventare gli agricoltori operai così da avere potere di acquisto da renderli alla fine, consumatori.

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