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I dolcificanti: dannosi in più studi

Dinanzi al desiderio di una perfetta forma fisica, con il minor assorbimento di calorie ma uguale gusto, il mondo del mercato ha messo a punto un enorme numero di ricette per venirci incontro (e farci acquistare di più). In molti li osannano, e vantano in casa una sconfinata serie di prodotti privi di zucchero.

Bisogna però chiedersi quanto questi sostituti ipocalorici siano salutari.

A tal proposito, nel dibattito sugli indicatori verde giallo rosso per la caloricità degli alimenti, in molti si oppongono a questo sistema di classificazione poiché porterebbe a presentare come verdi in quanto ipocalorici, prodotti meno naturali, frutto di sintesi chimiche poiché ricchi di dolcificanti, rispetto a quelli tradizionali. 

Uno studio pubblicato su Cell ha rilevato che la saccarina e il sucralosio, due dolcificanti artificiali, alterano il microbiota intestinale e aumentano i livelli di glucosio nel sangue: si sospettava da tempo, e ora i nuovi test hanno rafforzato ulteriormente quanto rilevato da studi condotti nel 2014.

«Quando venne pubblicato il primo studio nel 2014 l’industria alimentare si infuriò, sostenendo che i risultati non fossero validi perché i test erano stati condotti solo sui topi», spiega Robert Lustig, neuroendocrinologo non coinvolto nella ricerca. Così, dopo otto anni, il Weizmann Institute of Science di Israele ha deciso fugare ogni dubbio conducendo ulteriori test su volontari umani: le nuove analisi non hanno fatto altro che confermare quanto rilevato in precedenza, e cioè che alcuni dolcificanti alterano il microbiota intestinale influendo negativamente sulla tolleranza al glucosio – una misura della capacità del nostro organismo di spostare lo zucchero dal sangue verso i muscoli e verso il grasso- e, alterando tale capacità, causare perciò un rischio di aumento di peso e diabete.

Nello specifico, lo studio preso in esame 120 volontari e li hanno divisi in sei gruppi. Quattro gruppi hanno consumato ogni giorno per due settimane dei dolcificanti contenenti aspartame, saccarina, sucralosio o stevia; un altro gruppo ha ricevuto l’equivalente (5 grammi) di glucosio; l’ultimo gruppo non ha assunto nulla. A tutti i partecipanti, che hanno dichiarato di non aver assunto alcun dolcificante nei sei mesi precedenti, è stato misurato il livello di glucosio nel sangue prima, durante e dopo il trattamento, per valutare la risposta glicemica del corpo, ed è stato analizzato il microbioma a partire da campioni di saliva.

I risultati hanno evidenziato delle notevoli differenze nei batteri intestinali tra chi aveva assunto dolcificanti e chi no – in particolare nei volontari che avevano assunto sucralosio e saccarina, nel sangue dei quali sono stati riscontrati picchi di glucosio. «I dolcificanti in sé non aumentano il livello di glucosio nel sangue», sottolinea Jotham Suez, coordinatore dello studio, «ma influiscono sulla capacità dell’organismo di gestirlo dopo aver mangiato o bevuto».

Per confermare che dolcificanti e glucosio/microbiota fossero legati effettivamente da un rapporto di causa ed effetto e non di semplice correlazione, gli studiosi hanno fatto ingerire a dei topi i microbi estratti dai volontari con un elevato livello di glucosio nel sangue, rilevando che la capacità dei roditori di regolare i livelli di zucchero nel sangue veniva effettivamente inibita.

E’ bene specificare che l’andamento glicemico è comunque complesso e bisogna seguire l’andamento della glicemia e del peso dei partecipanti per almeno sei mesi o un anno per poter avere un riscontro più ufficiale e certo. Peraltro gli autori spiegano che il prossimo passo è riuscire a identificare quali microbi intestinali sono connessi all’intolleranza al glucosio, e nel frattempo ricordano che «l’acqua è sempre la miglior scelta».

La vera scelta è quella di consumare prodotti della tradizione ma in misura equilibrata, senza dover ricorrere a sostituti ipocalorici per poter esagerare in (apparente) tranquillità.

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