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Coronavirus, il ruolo delle opere artistiche nella società

Stefano Armellin, artista e fondatore di The Opera Collection dal 1983, sofferma l’attenzione sul valore culturale delle opere artistiche. È importante sfruttare questi momenti di libertà per approfondire le tematiche culturali che spesso non prendiamo in considerazione

Il Coronavirus è un’emergenza sanitaria che ha costretto la popolazione a ripensare in maniera repentina le modalità del vivere il quotidiano. L’espressione artistica può essere un valore aggiunto proprio per distrarre da questa situazione sociale, al fine di proiettare la popolazione verso la conoscenza delle opere d’arte. È importante sfruttare questi momenti di libertà per approfondire le tematiche culturali che spesso non prendiamo in considerazione. La cultura è sempre un valido aiuto nelle situazioni di emergenza perché riempie la vita, impegnando le persone con altri argomenti per evitare di pensare alla situazione sociale. Stefano Armellin, artista e fondatore di The Opera Collection dal 1983, sofferma l’attenzione proprio sul valore culturale delle opere artistiche.  

Che ruolo assume l’arte in questo momento storico?
«Posso fare un esempio personale recente. Ho esposto a Palazzo Zenobio a Venezia America & Nives nel novembre 2019, ora l’opera è esposta in permanenza nella sede centrale della Treccani a Roma; racconta il percorso dell’umanità nel XXI secolo, l’ho realizzata nel 2006, in Nives i fiocchi di neve sembrano il Coronavirus, indica una meta: gli Stati Uniti del Mondo, un’idea che può essere lanciata con il Giubileo del 2025. La pandemia ci rende consapevoli del valore di un mondo unito ma ora l’immagine dell’Italia è da recuperare. Ho spiegato a Massimo Bray l’idea di un film in grado di raccontare i 55 siti Unesco italiani e di un convegno a Tarzo dei rappresentanti dei 55 siti proprio per fare il punto sulla situazione cultura e turismo in Italia dopo la pandemia».

Vedere le immagini artistiche in che modo può aiutare le persone?
«Le persone si espongono alle opere, perciò le immagini hanno una responsabilità, e sono buone se sviluppano nel cuore di chi le osserva un’etica della comunicazione. Senza comprensione non c’è comunicazione. Una mostra ha il dovere di essere chiara ed efficace; deve essere in grado di rinnovare l’etica del discorso umano nella storia del mondo, deve creare una trasformazione reale in chi osserva. Una grande mostra dona sempre al pubblico una nuova visione del mondo, ma non una a caso, bensì quella necessaria per il nostro tempo. Come ha fatto Giotto ad esempio. La grande opera riesce a parlare a tutti i tipi di pubblico del mondo senza discriminare nessuno».

Come prevede l’espressione artistica dell’arte nel nuovo contesto storico caratterizzato da virus che potrebbero ripresentarsi nell’immediato futuro?
«San Francesco abbracciava il lebbroso mentre oggi nessuno celebra Messa in chiesa per timore del virus. I capolavori non si possono improvvisare, la grande arte lavora su tempi lunghi, le epidemie ci sono già state in passato, sicuramente l’arte che conta non è quella dove l’artista esprime se stesso, ma quella in grado di generare nuovi ponti di comunicazione planetaria e una nuova co-responsabilità internazionale. La cultura viene prima della politica e la politica prima dell’economia. Sto preparando Vesuvio, forse la più importante mostra al mondo del 2020, realizzata con il preciso intento di aiutare il pubblico a confrontarsi con un’emergenza non solo locale ma planetaria. In questo senso la Ginestra di Leopardi racconta bene il dramma umano».

Sarebbe interessante favorire la divulgazione dell’arte con strumenti digitali?
«Già nel 2001 scrivevo che il pensiero online convive con il fare offline. Abbiamo un cervello che vale la potenza di cento computer ma sembra che non abbiamo ancora imparato ad usarlo bene. Ed anche nel digitale rimangono sempre tre le domande fondamentali: dove vado? Dove sono? Chi sono?».

Francesco Fravolini

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