Roma, lungometraggi particolari al Festival di Villa Medici

È un mix di generi e mondi, fra registi abituati al circuito dei festival e giovani artisti appena usciti dalle scuole d’arte, autodidatti o figure internazionali dell’arte contemporanea passando per un collettivo anonimo. La selezione favorisce quella straordinaria esplorazione di una varietà di gesti cinematografici che caratterizzano i diversi modi di esprimere il messaggio del film, a seconda del regista e degli autori.

Quattordici film partecipano alla competizione internazionale della prima edizione del Festival che si svolgerà a Roma, da mercoledì 15 a domenica 19 settembre 2021. Le produzioni, di ogni durata e genere e provenienti dai 5 continenti, includono 7 prime mondiali ed internazionali e 5 prime italiane. Si tratta di un mix di generi e mondi, fra registi abituati al circuito dei festival e giovani artisti appena usciti dalle scuole d’arte, autodidatti o figure internazionali dell’arte contemporanea passando per un collettivo anonimo. La selezione favorisce quella straordinaria esplorazione di una varietà di gesti cinematografici che caratterizzano i diversi modi di esprimere il messaggio del film, a seconda del regista e degli autori. Queste proposte sollecitano una riflessione sul ruolo del cinema nel racconto quotidiano della società, con drammi individuali e collettivi che rappresentano un preciso momento storico. È importante conoscere come usare immagini e suoni per evidenziare e proporre il tempo contemporaneo.

Il film è un racconto sociale
Sono film realizzati tra il 2020 e il 2021, quindi risentono del clima storico della crisi politica e dell’emergenza sanitaria del Covid 19. Le proiezioni dei film in concorso sono seguite da incontri con i registi presenti a Villa Medici, arricchite da una programmazione parallela (Focus) che invita a scoprire film di artisti fuori concorso, masterclass e performance. Ogni sera, gli spettatori del festival si riuniscono nel Piazzale di Villa Medici per delle proiezioni all’aperto di film recenti. La Giuria, composta da Teresa Castro, Mati Diop e Béla Tarr, svelerà i film premiati durante la grande serata di sabato 18 settembre. Assegnerà due premi: il Premio Villa Medici per il miglior film e il Premio della Giuria per un film singolare che ha catturato l’attenzione della giuria. Questi premi, in denaro, offriranno anche agli autori o alle autrici l’opportunità di compiere una residenza di scrittura a Villa Medici.

I film del Festival
Si comincia da un primo lungometraggio ghanese autoprodotto, Amansa Tiafi di Kofi Ofosu-Yeboah, mix di Blaxploitation woman revenge movie e di satira politica che sfiora il pamphlet in stile commedia all’italiana, a Between the Heavens and Me del grande artista argentino installato a New York Alfredo Jaar che coglie la paura del mondo nell’isolamento del lock-down; al nuovo film molto atteso di uno dei registi italiani più creativi, Michelangelo Frammartino, che con Il Buco propone una potente allegoria archeologica sulla violenza operata sulla terra dalla modernità, a Inside the Red Brick Wall, agghiacciante resoconto della repressione della polizia a Hong Kong da parte di un collettivo di registi rimasto necessariamente anonimo. La politica si veste di un misticismo allucinatorio con El Gran movimiento, secondo lungometraggio del prodigio boliviano Kiro Russo, che filma La Paz e il sottoproletariato dei minatori con un realismo magico stupefacente, e con il cortometraggio onirico di Grace Passô, celebre drammaturga e attrice brasiliana, che con República testimonia l’incubo brasiliano in senso proprio. La porosità dei confini tra reale e virtuale è al centro del lavoro di molti artisti contemporanei. Con Petit ami parfait, il duo Kaori Kinoshita e Alain della Negra prosegue la sua esplorazione di personaggi le cui vite e azioni si fondono in un mondo interamente digitale, con Graveyard Connexion il francese Jonathan Pêpe offre un’inquietante riflessione sulla morte nel XXI secolo, mentre il britannico Ed Fornieles fornisce con Associations un monologo ipnotico attraverso il flusso ininterrotto di immagini che ci sommerge. Le giovani artiste Madison Bycroft, australiana e residente a Marsiglia, e Amie Barouh, nata a Tokyo nel 1993, lavorano entrambe sui due estremi della messa in scena performativa: un dispositivo teatrale e sofisticato che interroga la nozione di genere nella prima (The Fouled Compass) e l’immersione senza compromessi dell’artista nel mondo dei Rom a Parigi nella seconda (The Lost dog). Quella che viene comunemente chiamata «grande Storia» è anche oggetto di riflessione nel cinema contemporaneo. Con Lèv La Tèt Dann Fénwar, la regista reunionese Érika Étangsalé intreccia in 16mm e in Super8, a colori e in bianco e nero, i miti reunionesi e la politica migratoria del governo francese negli anni ’60 e ’70, testimoniando attraverso la storia di suo padre le ferite visibili e invisibili della storia coloniale dell’isola. Quanto a Pascale Bodet, con Vas-tu renoncer? prosegue la sua invenzione di una fantasia burlesca e struggente attraverso i personaggi del pittore Édouard e del poeta Charles che forse ricorderanno allo spettatore dei celebri omonimi. Sarà presentato, per la prima volta in Italia, The Works and Days, un film-sintesi girato in 5 stagioni e della durata di 8 ore, vincitore della sezione Encounters alla Berlinale, secondo lungometraggio in duo del fotografo svedese Anders Edström e del regista americano residente a Oxford C.W. Winter: una straordinaria meditazione su come il tempo limitato di una vita e il tempo ciclico della vita coesistono per gli esseri umani e per i loro fantasmi.

Francesco Fravolini

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