Lavoro, valorizzare il ruolo dei freelance

Secondo dati OCSE, nonostante gli italiani lavorino circa 46 ore in più della media europea, la produttività nel nostro Paese rimane la più bassa 

I lavoratori autonomi sono impiegati spesso molte ore e sempre sotto stress, rappresentando la normalità. A fotografare la situazione occupazionale sono i dati raccolti da Statista. «Rispetto all’Europa l’Italia è il Paese – si legge nel documento – con più lavoratori freelance. Nel 2022 il lavoro autonomo in Italia ha coinvolto più di 4,7 milioni di persone, nel Regno Unito poco più di 4 milioni mentre in Francia e Germania il dato si aggira attorno ai 3 milioni». Si tratta di un’istantanea che attesta quanto la dinamica del mondo del lavoro continui a evolvere senza sosta e che dovrebbe dar la possibilità alle persone di avere un rapporto migliore con il proprio lavoro. Tuttavia, secondo dati OCSE, nonostante gli italiani lavorino circa 46 ore in più della media europea la produttività nel nostro Paese rimane la più bassa. Il lavoro da freelance attrae perché consente di scegliere con maggiore libertà orari e luoghi lavorativi, ma secondo Luigi Nigro, giovane professionista del digitale e content creator, il lavoro autonomo diventa spesso una trappola perché la maggior parte dei professionisti non ha la capacità di gestirlo in maniera efficiente. Con Luigi Nigro cerchiamo di conoscere le modalità per ottimizzare il lavoro da freelance. 

Quali suggerimenti darebbe ai lavoratori freelance?

«Non credo che bastino dei trucchetti per scardinare modelli sbagliati che abbiamo avuto in testa per tutta la nostra vita e non penso esistano tip and trick che vanno bene sempre e per tutti. Sono convinto che riuscire a lavorare in una condizione di relax si possa raggiungere solo dopo aver lavorato su sé stessi e sul proprio stile di vita. Nel mio caso, il mio modo di lavorare (e di conseguenza di vivere) è cambiato in meglio perché ho scelto di diventare estremamente selettivo nei riguardi del contesto in cui lavoro e mi sono circondato di collaboratori e persone giuste che non metteranno mai a rischio la salute mentale in nome della produttività. Oltre a questo, ogni lavoratore freelance dovrebbe crearsi delle opzioni alternative: mi rendo conto che oggi quasi nessuno ha la possibilità di fare lo “schizzinoso” quando si parla del proprio lavoro semplicemente perché non si è creato delle alternative. Ed è proprio per questo che molti finiscono per stressarsi. Dal punto di vista pratico, un bravo freelance deve avere una buona organizzazione del proprio tempo e ridurre al minimo gli sprechi e avere una buona consapevolezza sulla propria gestione di cassa: imparare cos’è un conto economico e uno stato patrimoniale risulta fondamentale per un professionista che vuole far crescere la propria attività».

Perché il lavoro autonomo diventa spesso una trappola?

«Tante persone aprono Partita Iva perché pensano di poter scappare dal capo, dalle regole e dagli orari ma alla fine finiscono a fare i dipendenti di un capo ancora più terribile: sé stessi. Chiaramente il discorso è piuttosto complesso perché è radicato nella nostra cultura. Penso che una delle cause principali del vedere il lavoro come una trappola sia l’educazione. In cima a questo meccanismo lavorativo ci sono generazioni che sono state educate dalla propaganda del “lavorismo”, che promuovono la trappola della carriera, della job title, della gavetta, ecc. Avete presente i promotori dello slogan “i giovani non hanno voglia di lavorare” e dei suoi derivati? Ecco parlo di loro. Quella è una generazione che purtroppo è stata traumatizzata dalla cultura industriale e capitalista e che, invece di mettere in discussione quel sistema, pretende che i giovani soffrano allo stesso modo. Sono persone che è impossibile cambiare, perché sbattergli in faccia il nuovo concetto di lavoro (o anche la filosofia slow) significa tirarli fuori dalla caverna di Platone. Significa accusarli indirettamente di aver sbagliato tutto nella vita. Non lo ammetteranno mai, nemmeno a loro stessi. Sarebbe troppo lesivo a livello identitario, quindi continueranno a credere che certe dinamiche siano giuste e non si accorgeranno mai di come stanno intossicando le nuove generazioni. Finché queste persone resteranno in cima saremo sempre esposte a questa propaganda culturale del lavorismo. Il cambio generazionale può essere uno dei semi per il cambiamento. Il resto deve venire dal singolo individuo».

Che cosa è la filosofia Slow?

«Secondo la nostra cultura, se lavori senza stressarti vuol dire che non stai davvero lavorando o che non ti stai impegnando quanto potresti. La nostra cultura del lavoro è basata sulla sofferenza e se non soffri significa che non stai lavorando abbastanza. Bene, è proprio questo assunto propagandistico che la filosofia Slow combatte sul versante lavorativo. La Slow Life promuove una cultura del lavoro in cui vengono meno tutti gli elementi di stress cronico che caratterizzano la cultura del lavoro nel nostro Paese. Secondo la filosofia Slow è possibile lavorare con dedizione ed essere comunque rilassato. Affinché accada però, ci sono alcune condizioni, ma la principale è questa: bisogna diventare estremamente selettivi riguardo il contesto nel quale si lavora. Ho applicato la filosofia slow non solo alla mia vita ma anche al mio lavoro. Per me non esistono urgenze, lo stress sul lavoro è minimo e ogni decisione professionale che prendo è mirata a migliorare la qualità del mio lavoro nel lungo termine. Ogni volta che decido di prendere o lasciare un cliente, ogni volta che decido di aumentare i prezzi, ogni volta che decido di lanciare o togliere un servizio dal mio portfolio, in testa ho solo un obiettivo: eliminare gli sprechi, evitare cose che mi annoiano e fare meno per guadagnare di più. Questa è Slow Life applicata al lavoro».

Francesco Fravolini

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