La dolorosa richiesta di giustizia delle vittime della mafia

Uccisi dalla violenza della criminalità organizzata, per uno scambio di persona, per un colpo vagante o perché non si erano piegati alle volontà dei camorristi. I familiari delle vittime innocenti delle mafie, hanno scritto al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e ai due ministri vice premier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio.

Una lettera accorata che hanno firmato in tanti ma che a distanza di due mesi, non ha ottenuto risposta. «Chi è innocente non deve temere nulla. E’ una frase che abbiamo sentito tante volte ma -hanno scritto- la verità è un’altra».

Ognuno di loro ha una storia che non si è interrotta con la morte e che ancora coinvolge i familiari rimasti a difenderne la memoria e l’onorabilità. Non si è interrotta per esempio, per la madre di Adriano Della Corte, un ragazzo del Casertano in Campania, che fu ucciso nel 1984 a Castel Volturno. Da allora, la donna non ha mai smesso di chiedere spiegazioni. «Perché?». «Chi?». Sono le domande che ripete in continuazione, nel tentativo di trovare una pace che non arriva. E nemmeno arriverà, forse. Ad ottobre gli uffici del Ministero dell’Interno, dinanzi all’istanza per riconoscimento del figlio come vittima innocente, le hanno risposto che è troppo tardi. Tardi per procedere e tardi per concedere ad una mamma la pace di sapere? «Non capiamo perché ci sia toccato in sorte questo destino ma sappiamo che non possiamo continuare ad essere trattati come carta straccia o come fascicoli da archiviare in fretta», dicono ora, altri familiari di altre vittime. Il problema che riguarda tutte le vittime innocenti di Italia sarebbe da rintracciare nelle modifiche e nell’interpretazione di alcune norme.

«Abbiamo perso nostro padre quando eravamo troppo piccole per comprendere e per elaborare un lutto così violento», confessano Rosa e Romilda Pagano, figlie di Pasquale ucciso nel 1992 a San Cipriano d’Aversa, nel Casertano, per uno scambio di persona. Avevano 6 e 10 anni. «Dopo l’assassinio di papà, siamo rimaste sole con nostra madre. Sole a tentare di capire come andare avanti, ad orientarci in un maledetto mondo violento, a proteggerci l’una con l’altra tenendo bene in mente gli insegnamenti di papà. Siamo cresciute con difficoltà ed in tutti i sensi: mai libere di sorridere perché mai spensierate e sempre attente ad ogni amicizia, conoscenza, comportamento o naturale atteggiamento di cortesia. Lo dovevamo a papà e a noi stesse che da un giorno all’altro ci siamo ritrovate adulte senza esserlo per davvero», hanno detto Rosa e Romilda. Ma l’incubo dura ancora perché sebbene gli assassini del padre siano stati trovati dopo 23 anni, non riescono a ripartire.

A giocare la partita sul grande scacchiere della giustizia e delle ingiustizie, ci sono i cavilli, i ricorsi spesso fatti dagli uffici preposti contro i familiari delle vittime senza un reale motivo. E al centro c’è il dolore che forse disturba perché inchioda alle responsabilità e al dovere di dare delle risposte in grado di recuperare il valore umano di chi è morto da innocente.

 Tina Cioffo

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