Il settore agroalimentare scommette sull’innovazione

È l’obiettivo emerso durante il workshop “L’innovazione per filiere agroalimentari sostenibili: strumenti, best practices, politiche a supporto”, organizzato da Nomisma

Il settore agroalimentare scommette sull’innovazione, stravolge il comparto, valorizza la produzione sui mercati internazionali. Sono queste le linee strategiche emerse durante il workshop “L’innovazione per filiere agroalimentari sostenibili: strumenti, best practices, politiche a supporto”, organizzato da Nomisma, in collaborazione con Philip Morris Italia e con il contributo scientifico di Food Trend Foundation. L’obiettivo è quello di garantire la competitività del settore agroalimentare sui mercati esteri. A causa del conflitto contro l’Ucraina, senza dimenticare i continui shock sul mercato energetico e delle commodity, a cui si aggiungono gli obiettivi della transizione ecologica imposti dal Green Deal, il sistema produttivo agroalimentare sta vivendo un periodo storico complicato, duramente colpito da tensioni inflattive e da difficoltà di approvvigionamento. Scendiamo nel dettaglio per leggere alcuni dati dell’ultimo Eurobarometro, basato su un’indagine realizzata tra fine febbraio e marzo scorso. «Un cittadino europeo su due, quando si tratta di indicare le principali responsabilità attribuite agli agricoltori, mette al primo posto – si legge nel Documento dell’ultimo Eurobarometro – la produzione di cibo sostenibile e di alta qualità, mentre per il 26% diventa prioritaria la garanzia di fornitura costante di alimenti». La fotografia emersa del comparto economico impone una riflessione su qualità dei prodotti agroalimentari, food security e sostenibilità poiché devono procedere unitamente, compresi gli investimenti in innovazione, proprio per rendere le filiere italiane sempre più competitive e sostenibili.

Analisi del settore

L’Italia deve garantire sicurezze alle proprie filiere e agli agricoltori, oltre ad assicurare l’approvvigionamento dei diversi prodotti agroalimentari, per generare quel “valore” richiesto dai consumatori di tutto il mondo, importante a preservare la competitività del sistema agroalimentare nazionale. Se osserviamo il panorama italiano possiamo vedere che molte filiere non sono autosufficienti come quelle del frumento (sia tenero che duro), del mais, delle carni (sia bovine che suine), del latte. Tutto ciò è dimostrato dai dati del trend delle importazioni di prodotti agricoli; «negli ultimi venti anni – si legge nel Documento del Centro di Ricerca della Commissione Europea (JRC) – è cresciuto di oltre l’80%, arrivando a toccare i 16,3 miliardi di euro nel 2021. Non si tratta di un rischio di “food security” per i consumatori italiani: le importazioni sono necessarie a garantire in via complementare una piena funzionalità di quelle catene del valore, in grado di sostenere il nostro export di food&beverage e derivati del tabacco che nello stesso periodo è triplicato (+216%), passando da 14 a oltre 44 miliardi di euro». L’obiettivo di lungo periodo è quello di rendere le nostre filiere sostenibili in uno scenario di mercato che è ultimamente più complicato; è soltanto con gli accordi di filiera che può essere messo in sicurezza l’agroalimentare, mantenendo ugualmente elevati standard di qualità.

Obiettivi dell’Europa

Per una neutralità climatica impongono agli agricoltori riduzioni significative entro il 2030 nell’utilizzo di agrofarmaci e antibiotici (-50%) nonché di fertilizzanti (-20%). I target della strategia “Farm to Fork” collegata al Green Deal sono ambiziosi e non “a costo zero” per l’agricoltura comunitaria. Ed è lo stesso Centro di Ricerca della Commissione Europea (JRC) a valutare come l’applicazione tout court di questi tagli nei mezzi tecnici potrebbe portare ad una riduzione della produzione agricola dell’Ue, compresa tra il 10 e il 15% rispetto ai livelli attuali.

Francesco Fravolini

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