Il viaggio degli scacchi nel tempo e nello spazio

Il gioco degli scacchi è forse uno dei più diffusi al mondo. Ciò che lo caratterizza è che non serve solo a divertire, ma anche e soprattutto a mettere in campo una serie di abilità, strategie e tattiche che lo rendono un modo non comune di esercitare e sviluppare capacità di impegno, concentrazione, riflessione e pazienza.
Per quanto riguarda le origini, l’ipotesi più accreditata colloca la loro nascita in India nel VI secolo e il primo accenno si trova in un romanzo in sanscrito, il Vasavadatta. Stando a una delle tantissime leggende, questo intrattenimento, detto Chaturanga (quattro giocatori), sarebbe stato inventato per divertire un annoiato re indiano. Secondo altre fonti, invece, un sovrano che non riusciva a trovare pace per la morte del figlio, accolse un brahmano che lo fece sorridere proponendogli il gioco da lui stesso inventato.
Nel VII secolo, in Persia, nei poemi della letteratura pre islamica viene descritto un gioco, lo Chatrang, che ha attinenza con quello degli scacchi, nome mediato dalla lingua d’Oc escac, corruzione della parola farsi Shah che significa re.

Tra l’VIII e il X secolo il gioco raggiunse, grazie all’espansione degli Arabi musulmani, la penisola iberica e da qui si diffuse in Europa a partire dall’anno Mille suscitando entusiasmo in tutti gli strati della società medioevale dove scacchi e scacchiere erano sempre presenti.
In Occidente i “pezzi” subirono varie trasformazioni che restano, però, nei nomi tuttora in uso. L’alfiere, ad esempio, soldato che portava il vessillo delle milizie, in origine era un animale, l’elefante (al- fil), si noti la somiglianza fonetica, la torre (rukh) era un cammello, i pedoni (baidaq) restarono tali. Il fers, che rappresentava in Oriente un generale o un ministro (vizir), subì il mutamento più radicale cambiando sesso fino a diventare la fiers, ossia la Vergine, poi la Dama e, infine, la Regina.
Il termine scacco matto deriva dalla voce persiana shah mat, che vuol dire “il re è morto”.
Non conosciamo le regole nel Medioevo, ma immaginiamo fosse un gioco al massacro che riproponeva quelle delle battaglie feudali.
Il documento italiano più antico in cui compare la parola scachus è una lettera del 1061 scritta da san Pier Damiani al papa Alessandro II per informarlo della punizione da lui inflitta a un vescovo fiorentino che trascorreva parte della notte a giocare a scacchi. L’ostilità iniziale della Chiesa si spiega con il timore che il gioco fosse un’occasione di peccato o avidità.
Sappiamo che nel ‘500 i giocatori più forti erano italiani. In particolare ricordiamo, Paolo Boi detto ‘il Siracusano’, capace di giocare bendato e Leonardo da Cutro noto come ‘il Puttino’, meno aggressivo e riflessivo. Quest’ultimo, calabrese, vinse contro il campione spagnolo Ruy Lopez alla presenza del re di Spagna Filippo II che, dopo avergli donato soldi e ricchezze, gli chiese se avesse qualche desiderio particolare. Leonardo domandò di diminuire le tasse al suo paese. Filippo II accettò e i cittadini di Cutro per venti anni furono esentati dal pagamento.

Bruna Fiorentino

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