Ddl concorrenza: la privatizzazione occulta dell’acqua

Il disegno di legge, costringerà di fatto gli enti locali a lasciare ai privati ogni servizio pubblico

Mentre in Parlamento si stanno ultimando le manovre, a colpi di emendamenti, sul DDL della concorrenza, in merito al comparto taxi, ai marittimi  e soprattutto alle concessioni balneari, sta passando del tutto inosservata, ai media e ai politici, la sostanziale privatizzazione dell’acqua pubblica, prevista dal disegno legislativo. Tutto ciò, malgrado il referendum del 2011, abbia dato un esito diametralmente opposto

A lanciare l’allarme è un giurista stimato come Marco Manunta, già presidente di sezione del Tribunale di Milano, che ha pubblicato un articolo  sul sito  Questione Giustizia, dedicato agli addetti ai lavori. 

L’acqua potabile non è più solo elemento prezioso per la sopravvivenza. A causa della siccità e della insufficienza della rete idrica,  in diverse aree geografiche, il suo valore economico sta aumentando esponenzialmente. Un  bene su cui gli investitori finanziari hanno già mostrato attenzione: il 7 dicembre 2020, per la prima volta, l’acqua è stata quotata in borsa a Chicago, dalla Black Rock, uno dei più potenti fondi di investimento mondiali. Manunta spiega come il DDL  apre le porte agli investimenti speculativi nei servizi pubblici, non solo come l’acqua ma anche trasporti e raccolta rifiuti. Gli aspetti  più significativi,sono racchiuse nell’art. 6 

Qui è  prevista la separazione, a livello locale, tra le funzioni regolatorie e le funzioni di diretta gestione dei servizi, per  la razionalizzazione» e l’organizzazione territoriale dei servizi pubblici locali. Fino a qui nulla di particolare, se non chè quando si va a parlare di autoproduzione, cioè della gestione del servizio da parte dell’ente locale in forma diretta, o tramite un apposito ente pubblico (azienda speciale), o mediante una società, formalmente di diritto privato, ma integralmente controllata dallo stesso ente locale (in house),  le cose si complicano maledettamente. Ai fini dell’affidamento del servizio in una di tali forme il DDL esige «una motivazione anticipata e qualificata, da parte dell’ente locale, per la scelta o la conferma del modello dell’autoproduzione…che dia conto delle ragioni che, sul piano economico e della qualità e dei costi dei servizi per gli utenti, giustificano il mancato ricorso al mercato». 

Insomma il Comune o chi per esso, dovrà sottoporsi ad una sorta di “sorveglianza speciale”, motivando le decisioni dell’utilizzo di un modello pubblico. Sarà assoggettato a sistemi di monitoraggio dei costi, ai fini del mantenimento degli equilibri di finanza pubblica e della tutela della concorrenza.Per contro, rispetto alle gestioni affidate ai privati, non si applica alcuna delle misure di sorveglianza previste per le gestioni pubbliche, nemmeno se si rivelassero del tutto inefficienti e antieconomiche (salvo che l’ente affidante possa procedere alla revoca della concessione): una disparità di trattamento del tutto ingiustificabile data l’identità delle situazioni. L’asfissiante e penetrante controllo nei confronti della gestione pubblica è, dunque, palesemente diretto a costringere gli enti locali a passare la mano ai privati.

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