Natale: paese che vai tradizione che trovi

Non esiste pandemia che possa sopprimere una tradizione, specialmente se questa ha radici lontane e racconta di usi e costumi che le generazioni si tramandano come il più grande dei tesori.
Non c’è bisogno di reinventarsi una grotta di Betlemme o un albero innevato della Lapponia per sentire il calore trasmesso dagli zampognari che scendono dai monti e andare per i paesi e le città ad allietare con le loro cornamuse l’animo inquieto di una civiltà che, comunque vadano le cose, non può smettere di guardare l’orizzonte.
Forse il 25 dicembre, a pranzo, non c’è più la letterina sotto il piatto per i buoni propositi dei bambini ai genitori che danno la strenna, e neanche la scelta tra il presepe o l’albero, tantomeno chiedersi chi sia e da dove venga, alla fine, la Befana che le feste si porta via.
Non c’è un altro Salvatore Quasimodo che dà voce alla “Pace nella finzione e nel silenzio/nelle figure di legno: ecco i vecchi del villaggio/ e la stella che risplende/
e l’asinello/ di colore azzurro”.
O Giuseppe Ungaretti che poeticava “Non ho voglia/di tuffarmi/in un gomitolo di strade/Ho tanta stanchezza sulle spalle/Lasciatemi così/come una cosa posata/in un angolo/e dimenticata./Qui non si sente altro che il caldo buono./Sto con le quattro capriole/di fumo del focolare”. Va bene, eccome, ascoltare De Gregori che canta “C’è la luna sui tetti, c’è la notte per strada, le ragazze ritornano in tram, ci scommetto che nevica, tra due giorni è Natale, ci scommetto dal freddo che fa”. Siamo sicuri, tuttavia, che non morirà mai Alfonso dei Liguori con il suo capolavoro dei capolavori Tu scendi dalle Stelle.
Non si gioca più con le nocciole sui marciapiedi e forse scomparirà la tombola, ma in Calabria rimane imperituro il pranzo con le “tredici cose” per ricordare che una volta, almeno a Natale, i poveri sulla tavola si permettevano tredici prodotti, sebbene di poco conto, per festeggiare il giorno più importante che il cristianesimo dedica puntualmente ogni anno alla nascita del Cristo.

Un po’ più giù, in Sicilia, non si rinuncia allo “Zucco”, il falò dove si riuniscono le persone per una simbolica purificazione, una sorta di rinascita sociale che attende al trionfo della luce sulle tenebre. E tra un’allegoria e l’altra ecco le qualità gastronomiche che vedono primeggiare il classico buccellato, i torroni, gli antipasti come le crespelle e il baccalà fritto.
Il trionfo delle tavole imbandite è un inno che unisce l’Italia e che il mondo ci invidia per la varietà di cibi che abbiamo saputo tramandare: i “Canederli” e lo Zelten in Trentino, la “Carbonade” in Val d’Aosta, “la Gubana e la Brovada e Muset” nel Friuli, i Passatelli in Emilia;  il Timballo , il Vincisgrassi, il “Frustingo” e la “pizza di Natà” nelle Marche; i “Culurgiones” e i “Malloreddus” in Sardegna; gli “Struffoli” e l’ “Insalata di Rinforzo” in Campania.
Insomma, a Natale paese che vai tradizione che trovi.
E per tutte le regioni, l’immancabile panettone e lo spumante per brindare al nuovo anno 2021. Auguri.

Bruno Cimino

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