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Te lo dico in esperanto

Il lungo periodo, che ci ha obbligati a rimanere a casa per colpa del contagio Covid-19, ci ha portato ulteriori termini inglesi non richiesti.
Un’invasione che quotidianamente e in particolari momenti stabilisce come debba aggiornarsi il nostro vocabolario. Da tempo, oramai, non facciamo più acquisti, ma lo shopping, e non trascorriamo i fine settimana al mare o in montagna, ma organizziamo i week end per il windsurf,  il beach volley,lo snowboard, il nordic walking, e non si fa la pausa a causa del caldo durante una partita di calcio, ma il cooling break. Vogliamo, inoltre, parlare delle nostre origini, del nostro bagaglio culturale, delle nostre idee, della nostre esperienze? Ebbene, vorreste dire del nostro background!
I popoli si possono invadere in tanti modi per imporre il proprio modo di vivere esportando quanto più è possibile per incrementare sviluppo e potenza economica. E i destinatari subiscono.
Sott’accusa è, ovviamente, l’inglese, lingua della quale si è cercato inutilmente di decantare la facilità grammaticale che non costituisce prova sufficiente a giustificarne il predominio dal momento che l’innegabile ostacolo fonetico, l’enorme numero di frasi idiomatiche, di idiotismi e di parole con vari significati a seconda della pronuncia rappresentano un’intricata giungla per gli “stranieri” che vi si accostano.

Eppure da anni c’è chi tenta di convincere che una lingua valida utile a mettere tutti d’accordo c’è, ed è l’esperanto. Si è sempre proposta come la lingua del futuro, non privilegia alcun gruppo, anzi, al contrario, è assolutamente neutrale ed accessibile non solo agli europei e agli occidentali; è un lingua fonetica, ha solo sedici regole grammaticali, ed un vocabolario facile, ciò nonostante è di scarso impiego perché considerata come un’utopia.
Certo, è una lingua artificiale, inventata da un oculista polacco di nome Ludovico Lazzaro Zamenhof (1859-1817).
La prima grammatica d’esperanto “La lingvo internacia”, diffusa in varie nazioni, trovò il favore di molti uomini di cultura che l’apprezzarono promuovendone la divulgazione.
È una lingua fonetica, si legge come si scrive e, grazie alla sua duttilità, si presta ad essere impiegata in qualsiasi campo dello scibile, sia umanistico sia scientifico ed in qualsivoglia attività pratica (commercio, turismo, industria ecc.),
Nel 1905 a Boulogne sur Mere, si tenne il primo congresso  a cui parteciparono settecento persone di circa venti paesi differenti che si esprimevano in esperanto.
Oggi gli “esperantisti” si trovano in tutto il mondo, ma questo non è sufficiente per ufficializzarla come la lingua di tutti per un futuro dove non c’è chi cammina davanti e chi deve stare dietro, ma insieme.
È anche una lingua educata. Pensate che per mandare a quel paese qualcuno in esperanto si dice aĉeto.

Bruno Cimino

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