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Sulle tracce del leggendario Tatzelwurm

Sul territorio alpino esistono da secoli leggende su animali più o meno verosimili che popolano le montagne. Abbiamo già trattato in passato la storia del Dahu; un altra misteriosa creatura è il Tatzelwurm. Il nome deriva dal tedesco “Tatze” che significa “zampa” o ”artiglio” e “Wurm” che significa “verme”. Si tratterebbe quindi di un animale dal corpo allungato dotato di zampe, dalla vaga forma di una grande lucertola. In Svizzera viene chiamato invece Stollwurm, “verme delle gallerie”.
La descrizione varia in base alle diverse località e a chi afferma di averlo osservato: presenza di 2, 4 o nessuna zampa, presenza di scaglie o pelle nuda o corto pelo. L’unico carattere comune è il corpo allungato come le lucertole, anche se le dimensioni vanno dal mezzo metro a oltre 2 metri; soprattutto in Svizzera, il muso viene descritto simile a quello di un gatto: il serpente-gatto è un altro animale del folklore alpino, soprattutto nella vicina Val Vigezzo in Piemonte; potrebbe essere legato alla stessa leggenda. Alcune testimonianze inoltre lo descrivono capace di uccidere uomini con il solo sguardo o il fiato. Da queste descrizioni si notano analogie con le descrizioni medioevali dei draghi o il Basilisco, lucertolone in grado di paralizzare con lo sguardo. Anche importanti naturalisti come Ulisse Aldrovandi (1522-1605) riportano segnalazioni storiche di quesata creatura.
La Criptozoologia ha cercato di dare una spiegazione risalendo a creature realmente esistenti ma sconosciute agli osservatori. Un animale compatibile con molte descrizioni potrebbe essere la Lontra, anche se non spiegherebbe la presenza di scaglie o le segnalazioni in alta montagna, lontano da corsi d’acqua. Improbabile invece la presenza di grossi rettili o anfibi simili a salamandre giganti, non ancora conosciute alla scienza. Probabilmente come per molte leggende, si tratta di un mix di osservazioni fugaci, descrizioni fantasiose di animali reali e il distorcimento delle informazioni trasmesse oralmente di generazione in generazione.

Daniele Capello

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