Medicina tradizionale e “alternativa” a confronto
“Il suggerimento di lasciare la mia casa sul lago, uno studio medico ben avviato e i pazienti, che nel corso degli anni erano diventati ottimi amici, minava alla base il mio senso di sicurezza […]”. Questo quanto si legge in un passaggio nodale del libro dal titolo “…e venne chiamata due cuori” di Marlo Morgan edito da Sonzogno. “Questo libro è frutto di un’esperienza vissuta” sta scritto nel capitoletto di apertura intitolato “Dall’autrice al lettore”. La voce narrante è quella della protagonista dello straordinario racconto di fantasia ispirato da quanto accadutole in Australia.
Sono sempre sue le parole quando scrive: “ero certamente curiosa di saperne di più sulla medicina sociale, che elimina il profitto dal sistema sanitario e in cui si attua un discorso di collaborazione destinato a varcare l’abisso che da noi separa la medicina tradizionale da quella alternativa”. Una dottoressa dunque coinvolta, per una “strana” serie di sincronie in un’avventura in un mondo distante anni luce da quello al quale era abituata e che darà il là ad un cambio di registro di vita e di valori.
“Avevo passato la vita assillata dalla necessità di garantirmi un lavoro sicuro, di premunirmi contro l’inflazione, di acquistare beni immobili e risparmiare in vista della pensione. […] Ma qui non finivo di stupirmi constatando che la razza maggiormente priva di sicurezze, almeno secondo i miei standard, non soffriva di ulcera, né di ipertensione o di malattie cardiovascolari. Una prima presa di consapevolezza alla quale faranno seguito altri passaggi che porteranno l’autrice ad interrogarsi sempre di più sulla relazione che lega il medico al paziente. Specie a seguito della rivoluzione copernicana a cui la permanenza all’interno di una civiltà agli antipodi di quella di provenienza espone la Morgan.
E’ sempre lei a scrivere “sempre più mi appariva evidente l’importanza del rapporto medico-paziente. Se il dottore non crede che il malato potrà riprendersi, questa convinzione potrebbe da sola vanificare i suoi sforzi”. Come a dire che le intime convinzioni che si nutrono sul successo o meno di un determinato approccio terapeutico, che lo si voglia o no, influenzeranno l’esito reale. Cosa che detta altrimenti potrebbe esprimersi come “Il pensiero crea la realtà”.
Ed infatti è sempre l’autrice ad evocare quanto viene fatto da alcuni medici americani che curano gli ammalati di patologie terminali con immagini mentali positive. Al contempo però viene detto come il mondo cosidetto “civilizzato” si adoperi per costruire macchine in grado di eseguire certe tecniche, mentre quella che nel libro viene qualificata come la “Vera Gente” dimostra che analoghi risultati sono ottenibili anche senza cavi elettrici. “L’umanità vaga e lotta senza sosta – prosegue l’autrice – ma nel continente australiano si praticano le tecniche terapeutiche più sofisticate […]”. Interessante l’epilogo del percorso dove sta scritto: “forse un giorno le due scuole di pensiero si fonderanno e da questa fusione emergerà una conoscenza infinitamente più completa”.
Di Maria Teresa Biscarini