Il primo esodo climatico delle Americhe
Per oltre un secolo, la comunità indigena Guna ha vissuto sulla piccola isola di Gardi Sugdub, nell’arcipelago di San Blas, al largo della costa settentrionale di Panama. Dopo aver resistito alla colonizzazione spagnola e mantenuto la propria autonomia culturale, oggi i Guna si trovano ad affrontare una nuova minaccia: l’innalzamento del livello del mare. Le acque sempre più alte stanno rendendo inabitabile l’isola, obbligando gli abitanti a prepararsi per un trasferimento sulla terraferma, trasformandoli in alcuni dei primi rifugiati climatici del continente americano.
L’erosione di un’isola e di uno stile di vita
Negli ultimi decenni, gli abitanti di Gardi Sugdub hanno assistito a un peggioramento progressivo delle condizioni ambientali. L’aumento del livello del mare, che ora cresce di 3,4 mm all’anno, ha intensificato le inondazioni durante la stagione delle piogge, danneggiando case e infrastrutture. Inoltre, la distruzione delle barriere coralline circostanti, storicamente una protezione naturale contro le tempeste, ha reso l’isola più vulnerabile all’erosione. Il sovraffollamento e la mancanza di un sistema fognario adeguato aggravano la situazione, rendendo sempre più difficile la vita quotidiana sulla piccola isola. Per affrontare questa emergenza, i leader della comunità hanno avviato, già nel 2010, una collaborazione con il governo panamense per costruire un insediamento sulla terraferma, Isber Yala. Questo nuovo villaggio, situato su terreni già di proprietà dei Guna, presenta un assetto completamente diverso rispetto all’isola: case prefabbricate in cemento sostituiscono le tradizionali abitazioni in legno e metallo, offrendo una maggiore resistenza alle intemperie. Il trasferimento delle famiglie segna un passaggio storico per la comunità.
Una cultura in bilico
Il trasferimento non rappresenta solo un cambiamento geografico, ma anche un profondo sconvolgimento culturale. I Guna hanno costruito la loro identità attorno al mare, dalle canoe utilizzate per la pesca ai tessuti tradizionali chiamati molas, le cui stampe vivaci richiamano la flora e la fauna marine. Il rischio di perdere le proprie radici è concreto, come sottolinea Blas López, uno dei leader della comunità, che evidenzia la necessità di un processo di adattamento per preservare la cultura indigena in un contesto completamente nuovo. La resilienza dei Guna ha radici profonde nella loro storia. Dopo aver subito tentativi di assimilazione forzata da parte del governo panamense nel XX secolo, la comunità ha combattuto per la propria indipendenza nella Rivoluzione Dule del 1925, ottenendo un livello di autonomia che ancora oggi caratterizza la regione di Guna Yala. La Congress House, cuore della vita politica e spirituale della comunità, rimane il luogo in cui vengono trasmesse le conoscenze ancestrali e si discute del futuro del popolo Guna.
Il futuro dei Guna tra turismo e sfide economiche
Nel corso degli anni, la pesca, fonte di sussistenza primaria per i Guna, è diventata sempre più difficile a causa della riduzione delle risorse marine. Per far fronte a questa crisi, molti abitanti si sono rivolti al turismo, offrendo servizi di trasporto in taxi-boat, aprendo piccoli ristoranti e ospitando visitatori nelle isole vicine. Tuttavia, il deterioramento ambientale e il trasferimento della comunità pongono interrogativi sul futuro di questa economia. Mentre il mondo intero affronta gli effetti del cambiamento climatico, la storia dei Guna rappresenta un monito sulle conseguenze dell’innalzamento del livello del mare e sull’urgenza di soluzioni per le comunità più vulnerabili. Il loro esodo verso la terraferma segna la fine di un’era, ma anche l’inizio di una nuova sfida: mantenere viva la propria identità culturale in un ambiente in continuo cambiamento.
Riccardo Pallotta©