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L’uso dei geolocalizzatori per studiare la migrazione degli uccelli

Lo studio delle migrazioni si è evoluto nel tempo, non disdegnando le nuove tecnologie che con il passare degli anni si sono rese disponibili.

Dalle osservazioni dirette a occhio nudo e successivamente effettuate con strumenti ottici, quali bincocoli e cannocchiali, agli anelli metallici e di plastica, utilizzati nell’inanellamento a scopo scientifico, per passare poi all’uso dei radar militari, ben sfruttati in Svizzera, e da qualche anno, anche i geolocalizzatori.

Questi strumenti hanno rivoluzionato lo studio delle migrazioni degli uccelli, perché da dati puntuali di singoli individui osservati o catturati, si è passati a conoscere i movimenti giorno per giorno e per lunghi periodi di tempo.

Si sono così scoperte le rotte realmente percorse nella migrazione, il numero di eventuali soste e la loro durata, i movimenti precedenti alla partenza o nelle zone di svernamento, ma anche quelli erratici dei giovani subito dopo il primo involo.

Dai primi ingombranti “zainetti” gps, per animali di grandi dimensioni, che registravano le coordinate ma non trasmettevano i dati (quindi bisognava recuperare il dispositivo per ottenerli) si è passati ai piccoli dispositivi odierni, adattabili anche ai passeriformi o a quelli che trasmettono in tempo quasi reale, via satellite.

Il primo uccello studiato tramite questa tecnologia è stato l’Albatro urlatore, l’uccello con la maggior apertura alare al mondo. Si è scoperto che è in grado di volare fino a 500 Km in un singolo giorno.

Altre incredibili scoperte sono state realizzate su: Pittime reali, limicoli capaci di voli non-stop fino a 12.000 Km in 11 giorni, dall’Alaska alla Nuova Zelanda; Cuculi, in grado di volare a una media di 60 Km/h per 7.500 Km, dalla Mongolia all’Africa; Falaropi beccosottile che dalla Scozia attraversano l’Oceano Atlantico, per svernare in Ecuador.

Tutte scoperte impossibili senza la tecnologia satellitare.

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Daniele Capello

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