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Il problema dell’arte contemporanea in Italia

L’Italia è la culla dell’arte. In tutto il mondo il bel paese viene associato ai suoi monumenti, ai suoi musei più importanti e al suo buon cibo. Ma la nostra nazione non dovrebbe essere, non è, soltanto questo. Da troppo tempo l’Italia è etichettata, e perché no, commercializzata a livello globale come portatrice della cultura artistica antica e rinascimentale. Questo genera sì, profitto, turisticamente parlando, ma contemporaneamente priva lo stato di un bene di pari bellezza e importanza: l’arte contemporanea, che convenzionalmente ingloba a sé le avanguardie artistiche di inizio 1900, fino ad arrivare ai giorni nostri.

L’ esclusione del panorama artistico italiano dall’arte contemporanea ha radici profonde, culturali e storiche. La continua dicotomia Italia-Antico ha condizionato il popolo e gli artisti stessi per secoli; ogni corrente, ogni influsso nuovo e approdato in Italia, ha sempre generato dei filoni, delle sub correnti parallele, influenzate dall’arte classica. Come dimostrano il Neoclassicismo nel 1700 o i Macchiaioli nel 1800, l’Italia ha sempre percepito una sorta di dovere verso il passato, un passato pesante che adombra, ad ogni nuovo influsso esterno, la possibilità di discostarsi nettamente dall’antico e l’aprirsi a nuovi orizzonti creativi. La storia poi, non ha aiutato: con l’approdo del Nazismo e del Fascismo, in Italia come in Germania e altrove, inizia una vera e propria diaspora verso il nuovo continente da parte di letterati, pensatori, scienziati e artisti. Questo ha generato da una parte, nuovissime forme artistiche prettamente americane, concepite dal puro estro creativo come le famose Performance, l’Optical art, evoluzioni di novità europee sopravvissute alla guerra e riprese dalle nuove generazioni artistiche come le Neo Avanguardie, il Graffitismo, la Pop Art.

D’altro canto, però, gran parte dell’Europa post-guerra si ritrova quasi svuotata e l’Italia apparentemente assorbita e fossilizzata nel concetto di Classico. Nel corso del tempo questa arretratezza concettuale è rimasta nell’ideale contemporaneo comune. Ma la realtà riflette solo in parte le idee: molte correnti italiane del 1960, come la Transavanguardia, hanno trovato inevitabilmente maggior rilievo negli Usa, ma l’arte, nel suo naturale flusso creatore, continua la sua proliferazione anche qui, nel nostro paese, anche se con poche promozioni.

La Globalizzazione con la sua enorme portata mediatica sta finalmente riuscendo a scardinare i preconcetti artistici italiani, aprendo al mondo nuove personalità dallo stile e unico. Artisti come Agnes Cecile, romana, che unisce ritrattistica, colore ad acqua e un’atmosfera onirico-naturalistica personalissima, creando lavori di grande impatto emotivo e visivo. Anche l’arte concettuale riemerge, una potenza tutta nuova e tutta intrisa del presente e da ciò che ne deriva, con artisti nascenti come Federico Clapis di Milano, con le sue installazioni dal sapore Dada. La scultura è rimodulata da nuovi prodigi come Jago, pseudonimo di Jacopo Cardillo, già conosciuto per opere come Habemus Hominem e Memoria di sé, recuperando tecniche tradizionalissime e unendole a messaggi, simbologie nuove dai risultati volontariamente provocatori.

La stessa comparsa di gallerie artistiche come la Pinksummer di Genova e la Ex Elettrofonica di Roma, lasciano intravedere un futuro nuovo, fatto di un’arte diversa, non necessariamente estetica, individuale e comunicativa; portatrice di messaggi non più stereotipati, ma privati, a volte sussurrati, a volte urlati, scoperti lentamente, sguardo dopo sguardo.

Elena Caravias.

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