Vigilia di Natale, i riti del fuoco tra sacro e profano della tradizione molisana

Il tardo pomeriggio della vigilia di Natale per i molisani è un momento molto particolare legato ala tradizione più ancestrale e alla fede cristiana. Il 24 di dicembre è una data attesa con grande entusiasmo da molisani perché proprio in coincidenza  della nascita di Gesù prendono corpo due delle più importanti e gradi tradizioni legate al fuoco: la Faglia di Oratino e le Ndocce di Agnone. Dalle regioni lomitrofe e dai quattro angoli del Molise la gente si reca presso i due centri, uno in provincia di Campobasso l’altro in provincia di Isernia, per trascorrere una vigilia diversa, magari in compagnia delle persone più care illuminati dal calore della fiamma. Momenti più unici che rari che rinsaldano legami interpersonali, legami con un passato comune contadino, legami di affetto e di fede.

 

La faglia di Oratino

Nella “Faglia” di Oratino si fa riferimento al culto del fuoco europeo e, soprattutto, ai fuochi del solstizio d’inverno, che, come quelli del solstizio d’estate, sono collegati alla fecondità ed al matrimonio, nonché alla morte. Il significato dell’accensione del fuoco era duplice: da un lato si cercava di riprodurre, di mimare, la potenza del sole, dall’altro era presente una valenza di purificazione. Il fuoco, testimone di immortalità, avrebbe così allontanato dall’animo umano le tensioni peccaminose eliminando inoltre, con un atto “magico” il male “fisico” della comunità.
La “Faglia” è una preziosa risorsa per il pastore e il contadino molisano. Rudimentale faro, guida nella notte, questo artistico torcione rischiarava il cammino ed indicava, nelle notti di bufera, la dimora, il rifugio contro le rigide temperature del territorio. In origine le canne da utilizzare venivano sottratte, mediante rischiose spedizioni, ai numerosi vigneti che costeggiavano la collina oratinese, da gruppi di temerari che sfidavano l’ira e la vendetta dei vari proprietari che subivano l’affronto. Anticamente la refurtiva, trasportata a spalla, veniva così nascosta in luoghi sicuri, pronta ad essere trasportata improvvisamente nei pressi dell’ingresso del paese pochi giorni prima della Vigilia. Le canne venivano subito legate con quattro cerchi in legno, per non permettere ai proprietari di riprenderle indietro.  Da quando è stata ripresa la tradizione, vista la carenza di vigneti e di canne nelle campagne circostanti, si è dovuto ripiegare su zone dove le lunghe piante crescono spontaneamente, soprattutto nei tenimenti dei paesi limitrofi. Il rito della “Faglia“, le cui motivazioni, in parte dimenticate o sublimate, sono remotissime, è un avvenimento corale, interamente gestito dalla popolazione; si tratta, in concreto, di una enorme fiaccola (“Fax”), lunga oltre dieci metri, con il diametro di circa un metro e mezzo, formata da canne. Ad essa si dà fuoco la sera della vigilia di Natale, in una collocazione cronologica, come è evidente, molto vicina al solstizio. Le canne necessarie alla realizzazione della “Faglia” vengono raccolte nei giorni che precedono la festa da “squadre” appositamente formatesi. Pulite e selezionate secondo lo spessore e la lunghezza, le canne sono pronte per essere insaccate. La fase dell’insaccatura, unita a quella del trasporto, si può dire che non ha subito variazioni di sorta rimanendo praticamente così com’era. Uso di “partelli” in legno, forza di braccia e del buon vino caldo zuccherato, fanno crescere, nelle gelide serate dicembrine, la Faglia fino alla lunghezza ottimale, che non dovrebbe superare la dozzina di metri. Una piccola, ma sostanziale differenza c’è nel legno col quale vengono costruiti i cerchi che tengono le canne. Una volta erano realizzati con piccole querce sottili, spaccate a metà, chiusi prima e inseriti man mano che la faglia si allungava. Durante il tragitto che porta alla Chiesa Madre, rimasto quasi invariato, il “capofaglia”, oltre a scandire il tempo e la marcia dei portatori, grida: “Evviva le canne di…..”, inneggiando alla “generosità” di coloro che avevano fornito la materia prima per la realizzazione della Faglia, ma mentre prima era una sorta di presa in giro per quelli che avevano subito la razzia, adesso è una vera forma di ringraziamento alle persone ed ai paesi che, anche se indirettamente, hanno fornito le canne. Una volta giunti sul sagrato della chiesa la Faglia viene innalzata con l’aiuto di un argano e da una corda d’acciaio. Ed è così che dal campanile la barra, con in punta uno straccio imbevuto di combustibile, si avvicina alla sommità della Faglia, depositando la fiamma con cura, così da dare inizio al rito del Natale.

Le ‘ndocce di Agnone

La ‘ndocciata è un evento tradizionale che si svolge ad Agnone, costituito da una sfilata di enormi fiaccole (costruite artigianalmente con tronchi d’abete), lungo il corso del paese e impegnando buona parte della popolazione all’interno dei rituali previsti. Le radici della tradizione risalgono all’epoca romana, al tempo della tribù del Sannio; i Sanniti usavano ‘ndocce come fonte di luce durante gli spostamenti tribali che si verificavano durante la notte. La tradizione da allora, dopo il XVIII secolo, è stata tramandata dai contadini che cercavano di illuminare il percorso dei vari quartieri per raggiungere le numerose chiese nella notte di Natale. Ulteriori differenti credenze sono state accostate alla ‘Ndocciata nel corso degli anni; per esempio, se il vento soffiava da nord durante i falò ci si aspettava un buon anno. Durante il Medioevo, si credeva, inoltre, che il fuoco aiutasse ad allontanare le streghe, mentre secondo altri studi, questo rito era legato ad antichi riti della rinascita della luce, collegati al solstizio d’inverno. Vi sono ulteriori ipotesi per cui la ‘ndocciata fosse legata a un sincretismo in cui al centro erano il fuoco e i culti arborei. Le “‘ndocce” (torce) hanno una forma a “ventaglio” (raggiera) e sono fatte utilizzando l’abete bianco reperito nel bosco di Montecastelbarone; vi possono essere torce singole o multiple, che arrivano fino a 20 fuochi. Le contrade di Agnone che partecipano alla ‘ndocciata sono cinque (Capammonde e Capabballe, Colle Sente, Guastra, Sant’Onofrio, San Quirico) e le file sono costituite ognuna da centinaia di portatori di torce vestiti in abiti tradizionali (cappe), che sfilano per il corso principale del paese illuminandolo con una lunga scia di fuoco. Vi sono cori ed esibizioni di zampognari per le vie di Agnone, oltre a competizioni per stabilire quale sia la più grande e la più bella “‘ndoccia”. La processione si conclude con un falò chiamato “Falò della Fratellanza” a Piazza Plebiscito dove vi è un presepe. Questo rito, oltre che ad Agnone si è conservato, in misura minore, anche a Santo Stefano di Sante Marie (in provincia dell’Aquila) ed ha assunto una diversa valenza legandosi alla festività del Natale.

 

Stefano Venditti

Articoli simili

Teatro Vascello, Massimo Wertmüller, Elena Bucci, Marco Sgrosso

La salamandra che fa la fotosintesi

Quando tramite la finzione si può pervenire alla verità