Dory, la scrofa che chiede aiuto

Francesco Ceccarelli, responsabile investigazioni Essere Animali, in un suo post molto toccante ci racconta di “Dory, la scrofa prigioniera che chiedeva le coccole”. Il povero animale, vediamo dalle foto,  è rinchiuso dietro le sbarre e nel suo sguardo leggiamo una richiesta di aiuto.
Il team, durante una delle loro missioni investigative  ha scoperto in un allevamento intensivo del Nord Italia questa scrofa, probabilmente nata e cresciuta in quel lager.
Secondo Kant non dobbiamo far soffrire gli animali perché un tale comportamento viola l’umanità e può contribuire a sviluppare attitudini crudeli nei confronti delle persone. Non è un caso che molti serial killer abbiano intrapreso la loro vita criminale iniziando ad infierire la loro ferocia proprio sugli animali. Una sorta di allenamento prima di acquisire il definitivo titolo di “criminali”.
Ma non disturbiamo più di tanto la filosofia, né tantomeno le cronache nere, rimaniamo nel quotidiano, ossia in ciò che succede magari a pochi chilometri da noi. Soffermiamoci a riflettere che come Dory ci sono tanti lager dove altre specie sono segregate per far fruttare milioni di euro alle industrie che producono carne.

Scrive Ceccarelli: “Mentre filmavamo nel corridoio vicino alla sua gabbia ha iniziato a richiamare la nostra attenzione sbattendo la testa contro la gabbia ed emettendo suoni. Ci siamo avvicinati per capire cosa accadesse e abbiamo allungato la mano sulla sua testa per farle grattini e coccole. Poco dopo si è calmata. 
Il suo sguardo era toccante. Triste. Disperato. Siamo stati con lei qualche minuto.  Di solito evitiamo di stare molto con un singolo animale, perché anche in poco tempo si crea un legame e per chi fa investigazioni diventa molto più difficile uscire dall’allevamento e tornarsene a casa. Ma non è sempre facile rispettare questa regola di protezione psicologica, così ogni tanto ci capita di infrangerla, come con Dory. Quando cercavamo di andarcene ci chiamava, con i suoi grugniti. E si calmava solo se tornavamo da lei, a rassicurarla e darle un piccolo conforto in quella vita così triste. Non sappiamo se volesse proprio quello, se ci stesse davvero chiamando, e non vogliamo umanizzare troppo i suoi gesti, ma si comportava come un cane chiuso nel box di un canile, che richiama la tua attenzione e ti chiede con gli occhi di portarlo via con sé.
Solo che Dory è una scrofa di più di 200 kg e non esiste nessuna procedura di adozione. E nella stessa situazione ci sono altre 500mila scrofe in tutta Italia.
Nel giro di poche settimane siamo dovuti tornare più volte in quell’allevamento, per un lavoro di controllo e denuncia piuttosto particolare. E ogni volta non potevamo fare a meno di incontrare Dory, incrociare il suo sguardo, fermarci con lei. E ogni volta andarsene diventava più difficile. Poi un giorno siamo tornati e Dory non c’era più. Nella sua gabbia c’era un’altra scrofa, destinata alla stessa misera vita.
Non sappiamo se Dory sia stata spostata nell’altro capannone, per iniziare un nuovo ciclo di gestazione e parto o se sia stata mandata al macello.
Sta di fatto che non l’abbiamo mai più vista. Ma non abbiamo potuto dimenticarla”.

Tutto questo continua a fare cronaca in barba al Manifesto Animalista Europeo del 4 aprile 2019, presentato al Paramento Europeo di Bruxelles e, ancor prima, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale (Unesco, Parigi, 15 ottobre 1978) i cui contenuti sono molto chiari nel proclamare i diritti degli animali e nell’ammonire qualunque brutalità nei loro confronti.

Bruno Cimino

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