Arte: quelle espressioni artistiche di Maria Cristina Picciolini

La capacità artistica di tradurre espressioni in stati d’animo è il giusto equilibrio da trovare, per comprendere le vicissitudini della società.Non dimentichiamo lo sguardo sull’altro e sul mondo che, per Maria Cristina Picciolini, viene dal mare. Un mare del Sud d’Europa, a cui l’artista ritorna, dopo tanti anni passati oltre le Alpi

L’espressione artistica è un’occasione che consente di coinvolgere le persone e mostrare le creazioni, conseguenza della visione del mondo e degli accadimenti storici, interpretati con la sensibilità dell’artista.
Maria Cristina Picciolini non sfugge a questo comportamento artistico e nelle sue opere intende porre l’accento sulla relazione tra microcosmo e macrocosmo.
I sassi dipinti e accostati – protagonisti insieme al mare dell’ultima mostra – formano volti umani, a ricordarci la condizione con cui l’uomo, oggi sempre più solitario ed isolato, affronta la propria esistenza. La capacità artistica di tradurre espressioni in stati d’animo è il giusto equilibrio da trovare, per comprendere le vicissitudini della società.
Non dimentichiamo lo sguardo sull’altro e sul mondo che, per Maria Cristina Picciolini, viene dal mare. Un mare del Sud d’Europa, a cui l’artista ritorna, dopo tanti anni passati oltre le Alpi. Il mare che lambisce tutte le isole del mondo ma anche il mare inteso come morte, dove sono scomparse imbarcazioni, sogni e speranze, di chi è stato inghiottito sulle rotte della migrazione, della colonizzazione, della guerra, della malattia e della fame.
Con Maria Cristina Picciolini vogliamo comprendere il momento storico che stiamo vivendo, mediante l’aiuto dell’espressione artistica.

Il mare ricorre spesso nelle tue opere. Cosa rappresenta e che ruolo svolge nella tua vita?
Amo il mare e non ci vado mai pensando di sdraiarmi per prendere il sole. Mi incanto ad osservare la sua diversità che ogni volta mi offre, insieme a quello che mi circonda, e ogni volta scopro qualcosa di nuovo, cioè quello che mi era sfuggito la volta prima, qualora fosse un posto che frequento abitualmente. È questo incontro tra mare e terra che mi tiene a lungo a guardare i dialoghi che crea la natura. Lei ha un suo linguaggio ed immagini che entrano nella nostra mente e nel cuore, un divenire continuo che lascia delle vere impronte, se si sa ascoltare. E poi c’è il vento e il mare, quel legame invisibile che stimola la terra sempre pronta ad accogliere. Ogni volta è una poesia, una meditazione, un modo per ascoltarsi. Sono stata lontana dal mare per vent’anni, in un paese freddo e straniero. Una cosa impensabile per una come me, nata su una scogliera e rimasta a guardare l’orizzonte per ventisette anni. Dopo molti anni, il rientro in Italia, mi richiama alla memoria un odore di salsedine, e una grande voglia di appartenenza che non aveva a che fare con un luogo in particolare, ma con la natura, cioè con il mare. Parto per la Sicilia, terra nuova per me in ogni senso, anche un mare nuovo nel suo colore, nella sua forza e quell’incontro diventa amore e scelta di vita”.

Quest’anno è nato un tuo progetto d’arte, curioso nel suo stile, dal titolo CHI SONO. Da dove nasce l’idea e nel contesto storico che stiamo vivendo che significato attribuisci ai sassi come oggetto e metafora da tradurre?
L’incontro con la pietra e l’attenzione per i sassi, in particolare di questa isola, mi ha dato molteplici letture. Se di primo impatto mi ha riportato indietro nel tempo, cioè a quella bambina che gettava in acqua i sassi per sentirne il tonfo, in questo presente il mio ascolto si è rivolto ad altro, ad una lettura più intima, più inconscia. Non a caso dopo cinque anni che risiedo in Sicilia, nasce il mio progetto: CHI SONO. Un’idea che è nata proprio sulle rive del mare, su spiagge di ciottoli dalle forme più strane che ho ascoltato a lungo. Inizio a comporre dei volti e quei sassi prendono un’altra vita, iniziano a parlarmi e a cercare un’identità. Diventano nel tempo delle vere installazioni, dove sassi di mare dipinti diventano dei volti umani, posizionati dentro teche d’acqua o scatole di legno, per lasciarci pensare ad un mare dove il presente ha cancellato la poesia e ha dato spazio alla memoria, quella che purtroppo ogni giorno è dura realtà. Un mare che purtroppo è diventato tomba e cimitero del nostro Mediterraneo, ma è un mare che per me è diventato specchio per capire, chi sono e chi siamo”.

La forte accelerazione della società non consente di riflettere adeguatamente.
L’arte in che modo aiuta a fermare lo sguardo, per riflettere e riempirsi di orizzonti, di cultura, di traguardi?
L’arte da sempre aiuta a fermare lo sguardo e a riflettere, ma riesce a farlo solo per chi sa osservare con curiosità, umiltà e voglia di entrare dentro il cuore delle cose, e per questo ci vuole tempo. Viviamo in una società frenetica che con i tempi dell’arte non ha niente a che fare. Per chi va di corsa, cosa può lasciare l’arte? Forse una immagine estetica, una sagoma, un vago ricordo, anche indifferenza. Eppure, siamo circondati dall’arte, ma non abbiamo capito la funzione che ha nella nostra vita spirituale, e gli stimoli che porta nel cammino di tutti i giorni. Troppi continuano a vederla come complemento di arredo, oppure continuano a guardarla a distanza, come se per avvicinarsi sia richiesta una carta di ingresso speciale.
Come tutte le cose che non conosciamo da vicino, cioè che non tocchiamo con gli occhi e ascoltiamo con il cuore, finiamo per rimanerne distanti. L’arte è come lo straniero che ci vive accanto. Se non ti ci avvicini con rispetto, curiosità e umiltà, rimarrà sempre a quella distanza che non ti permetterà di sentire il battito del suo cuore”.

Come è stata l’esperienza dell’ultima mostra che hai fatto a Catania in periodo di pandemia?
Un’esperienza unica. Niente vernissage, solo un invito a passare per vedere la mostra in giorni e orari da concordare. Un catalogo da portarsi via e leggere dopo aver visto la mostra. Dunque, un invito a vedere le opere, avvolti nel silenzio. L’atmosfera perfetta. Guardando indietro e ripensando al mondo che c’era prima della pandemia, mi sono detta: dovremmo ripartire proprio da questo silenzio, che se lo sai usare e gestire bene, ti chiede solo il tempo necessario per fermarti a quello che ti fa stare veramente bene. Ti ricordi le persone alle mostre quando vivevamo nel vecchio mondo? Quanti erano quelli che veramente osservavano, sentivano e facevano domande attinenti a quello che li circondava? E poi, guai se l’artista non era esteticamente intrigante. È proprio vero che nella nostra società, una opera non si vendeva mai da sola. Hai notato che ho parlato al passato, come se fossi catapultata già in un futuro diverso? È questo per me il traguardo da raggiungere”.

Francesco Fravolini

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