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Action figure con ChatGPT: divertenti, ma a che prezzo?

Nelle ultime settimane, i social si sono riempiti di immagini generate con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, protagoniste di un paio di mode virali: prima le immagini in stile Studio Ghibli e poi gli Starter Pack personalizzati con ChatGPT. Si va da personaggi iconici come Dante Alighieri fino a interi album ispirati ai luoghi comuni italiani. L’effetto è spesso esilarante, la creatività non manca, e l’accessibilità dello strumento ha reso tutto ancora più veloce e coinvolgente. Ma come accade spesso con le mode digitali, dietro la leggerezza si nasconde un peso ambientale non trascurabile, che merita qualche riflessione in più.

Il salto di qualità (e di consumo)

Queste tendenze sono state causate da Sam Altman, CEO di OpenAI, che ha annunciato il più grande aggiornamento alle capacità di generazione di immagini di ChatGPT, un balzo in avanti dopo più di un anno di relativa stasi. Le nuove immagini sono più nitide, coerenti e sorprendenti. La reazione del pubblico è stata immediata: nuovi meme, fumetti, nuovi starter pack, nuovi trend virali. Ma ogni immagine generata non arriva gratis: dietro c’è un’infrastruttura fatta di server potenti, consumo energetico elevato e risorse informatiche che, nel loro insieme, lasciano un’impronta ecologica tangibile. La corsa all’immagine perfetta, al contenuto che spopola, ha un costo che spesso ignoriamo, o fingiamo di ignorare.

La cultura del “non ci ho pensato”

L’attrattiva di strumenti come ChatGPT risiede proprio nella loro immediatezza. Generare uno starter pack oggi richiede pochi secondi, nessuna abilità tecnica e una buona dose di ironia. Il problema è che questa leggerezza ci allontana da una consapevolezza più profonda del nostro impatto ambientale. Non si tratta di demonizzare la tecnologia, che anzi può offrire soluzioni eccezionali se ben governata, ma di riconoscere che anche i nostri gesti più piccoli, quando moltiplicati su scala globale, producono effetti concreti. Milioni di immagini generate ogni giorno significano milioni di processi energetici, raffreddamento dei data center, manutenzione dei server. Non è una questione simbolica, ma reale.

Nel nostro bisogno di raccontarci attraverso immagini, battute e metafore visive, rischiamo di cadere nella trappola dell’intrattenimento a ogni costo. Siamo passati dalla condivisione di contenuti personali a una produzione incessante e automatizzata, dove ciò che conta è solo “chi lo fa prima” o “chi lo fa meglio”. È qui che la questione ambientale si intreccia con quella culturale: quanto siamo disposti a inquinare per strappare una risata? E quanto ci interessa che l’algoritmo che ci ha fatto ridere un minuto fa abbia consumato più energia di quella che serve per illuminare una casa per un’ora o caricare un nostro smartphone al 50%?

La responsabilità di chi crea (e condivide)

Forse è arrivato il momento di ridefinire il nostro concetto di creatività digitale. Non per tornare indietro, ma per guardare avanti con maggiore lucidità. Non si tratta di rinunciare agli starter pack, ai meme o ai giochi con l’intelligenza artificiale, ma di praticare un uso più consapevole, più selettivo, più rispettoso dell’ambiente e delle risorse che impieghiamo. Per ogni immagine generata, possiamo chiederci: è davvero necessaria? Sta contribuendo a qualcosa di più di un secondo di distrazione? E se non lo fa, possiamo anche scegliere di non premere “genera”. La tecnologia evolve, e noi con lei. Ma anche la consapevolezza ecologica deve crescere. Altrimenti rischiamo di ridere oggi e pagare il conto domani, un conto salato, che nessuna AI potrà mai saldare al posto nostro.

Riccardo Pallotta©

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