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Arte & Cultura

‘A quiet day’ è di Vincenzo Greco

È un disco strumentale vicino alla musica classica con qualche minimo e appena percepibile sprazzo di elettronica

‘A quiet day’ è l’ultimo album di Vincenzo Greco, del cantautore, artista multimediale e saggista, in uscita il 18 aprile 2025 su tutte le piattaforme digitali e, in versione cd, nei migliori negozi di dischi (Dialettica Label/Tunecore/La Stanza Nascosta Records). ‘A quiet day’ è un disco strumentale vicino, sia per impostazione compositiva sia per sonorità e strumentazione, alla musica classica, con qualche minimo e appena percepibile sprazzo di elettronica. Nasce sulla scia delle sonorità di ‘All’improvviso. Canzoni lievi’ (Dialettica Label/Tunecore/La Stanza nascosta Records), essendone quasi un proseguimento sonoro senza l’ausilio delle parole. Non a caso il penultimo disco si chiude con un “Finale aperto” che – contemporaneamente – conclude il disco e lascia una porta aperta verso il suo stesso sviluppo. Quel seguito è proprio ‘A quiet day’, musica – nella definizione dell’autore – sfrondata dalle parole. Il disco intende evocare l’arco di una intera giornata, tanto che si chiude con gli stessi suoni di apertura, proprio a rendere la circolarità del susseguirsi delle giornate. 

Vincenzo, quale messaggio vuoi inviare con questo album?

«Tutto nasce dalla riflessione che, su più fronti, ho fatto circa i danni prodotti dal tempo moderno (del quale non nego tuttavia alcuni vantaggi e cose positive…), o meglio dalla sua idolatria. Non è, infatti, un caso che questo disco esca lo stesso giorno in cui nelle librerie arriva il mio nuovo libro Il tempo moderno e i suoi inganni. Riflessioni critiche in musica: Ferretti, De André, Battiato, Waters, edito da Arcana. Tra i danni prodotti dal modernismo e dal suo modello socio-economico fatto di ipercapitalismo consumista ci sono la produzione di ritmi sempre più affrettati e la omologazione, in virtù della quale ci si fa credere di essere liberi e soggetti di scelte in realtà prese altrove, e cioè dal grande sistema produttivo capitalista (al quale, peraltro, il sistema politico si è completamente piegato, anche per poter essere da questo sostenuto finanziariamente). Con questo disco ho cercato, allora, di dimostrare come si possano diminuire i ritmi e come si possa recuperare all’ascoltatore un ruolo attivo e una sensibilità consapevole. Infatti ho definito questo disco un piccolo tentativo, per molti versi assurdo e sicuramente antistorico, di rallentare i tempi della fretta odierna riconducendoli al ritmo della ciclicità e dilatando il concetto stesso di tempo fino a dissolverlo in un suono. Il messaggio – se proprio vogliamo usare questo termine così impegnativo – è che possiamo cercare di opporci alla fretta insensata che sta caratterizzando molte delle nostre vite. È come se, utilizzando il linguaggio musicale, io dicessi a chi lo ascolta: «Prenditi del tempo, calma il respiro, fatti trascinare dalle onde sonore». L’assenza di fretta consente quella profondità e quella accuratezza importanti per scoprire, in tutti i campi, dettagli importanti la cui visione ci è invece impedita dai ritmi ansiosi e ansiogeni che ci ha imposto il tempo moderno. E qui vengo al secondo aspetto, il ruolo dell’ascoltatore: la stessa scelta delle sonorità utilizzate è uno strumento per arrivare ai suoi sensi. A ben vedere è lui il vero protagonista in quanto ho cercato di metterlo nella condizione di uscire dalla passività omologante dell’ascolto per partecipare attivamente ai brani, immaginando, visionando, percependo (mi piacerebbe che addirittura sentisse certi odori di pomeriggi estivi fatti di aria di salsedine, per esempio). E questo è possibile anche perché viene liberato dalle parole e dai conseguenti “compiti cognitivi” che un testo comporta». 

Perché hai voluto raccontare una giornata in musica?

«Per quanto tutto ci sembri più affrettato e veloce, la giornata sempre 24 ore dura e ha sempre le sue ciclicità. Noi, invece, viviamo in modo sempre più mortificante la terribile sensazione che i giorni siano tutti uguali, monotoni ed anonimi. Tutto ciò porta a volte anche a nevrosi, persino alla depressione. Questa è una illusione percettiva in quanto in natura non è vero che i giorni siano tutti uguali, in natura nessun giorno è uguale a un altro, non accadono mai le stesse cose. Ciclicità non vuol dire ripetizione ma flusso costante, divenire, sicuramente con alcune ripetizioni ma mai uguali e monotone: un’onda del mare, per esempio, non è mai uguale all’altra. Invece il grigio modernismo, a dispetto dei colori sgargianti con cui ci viene presentato dai suoi entusiasti sostenitori, ha reso i giorni che viviamo tutti uguali perché finalizzati esclusivamente alla realizzazione dell’obiettivo di produrre, consumare, fare soldi. Confondendo, come ci ricordava Pasolini, lo sviluppo (produzione beni superflui) con il progresso (produzione beni necessari). La fretta regolatrice di questa società, come dicevo prima, ci fa correre in modo tale da non poter mai fermarci a cogliere quei dettagli che rendono un giorno un unicum diverso da quello precedente, come lo sarà anche quello successivo. Il poterlo fare in un giorno a settimana o in due/tre settimane all’anno è una pietosa quanto pelosa concessione di chi, per farsi sempre più ricco, ci ha derubato tempo e vita. Nel disco c’è questa alternanza di ciclicità (suoni che tornano) e di dettagli unici, nascosti qui e là. La giornata è divisa in sei parti, dalla tensione dell’alba (ogni tanto mi chiedo: e se il sole non sorgesse?) che esplode in un tuono di luce che si scioglie nella serenità del mattino; dall’operosità del mezzogiorno, senza che derivi in ansia, alla rarefazione e alla sospensione del pomeriggio; poi torna l’inquietudine, prima quella maestosa del tramonto e poi quella oscura della notte, per poi tirare un respiro di sollievo con il riaffacciarsi del sole. I brani sono stati sia scritti che registrati esattamente nel momento evocato dal titolo di ogni singolo brano (che è in inglese più per vezzo che per un motivo preciso)». 

Che ruolo assume la scelta della sonorità attraverso particolari armonie?

«In questo disco, alla cui brevità e levità ho tenuto molto, ci sono molti momenti in cui si punta sulla lunghezza di certi suoni in modo da creare quelle risonanze che si creano dando il tempo all’onda sonora di potersi sviluppare ed espandere. Ho utilizzato il suono, sia nella sua parte armonica sia in quella melodica, in coerenza con l’invito fatto all’ascoltatore di calmarsi.  Insomma, ho dato tempo anche al suono, dilatandolo e senza avere fretta di chiudere le melodie. Questo non accade sempre, sarebbe stato pesante, ma solo in alcune parti del disco. In altre, invece, ci sono momenti più ritmati, soprattutto nella parte di metà giornata e in quella notturna, perché immagino che certe inquietudini escano fuori più di notte. Mentre nella parte iniziale, dedicata all’alba, ho fatto uno strano esperimento di suono fortissimo e allo stesso tempo sospeso: ho cercato di rendere la tensione creata dall’attesa del sole (e se non sorgesse?) nel trionfo sonoro della sua comparsa, che a me pare sempre un miracolo visivo. È il pezzo contemporaneamente più arrembante e fermo del disco, come in una ipnosi».

Chi è Vincenzo Greco 

Nato a Vibo Valentia e quasi sempre vissuto a Roma, è cantautore e artista multimediale. Conosciuto con il nome d’arte di Evocante, ha già all’attivo gli album “Di questi tempi”, Dialettica Label 2022; “Fino a tardi. Viaggi sonori con Battiato”, Dialettica Label, 2023; “Siamo esseri emozionali”, Dialettica Label, 2024 e i singoli “Troppo/Poco”, Dialettica Label, 2022 e “Lode all’inviolato”, Dialettica Label, 2023. “All’improvviso – Canzoni lievi” è il suo quarto album. Ha dedicato vari studi a Franco Battiato culminati nel libro “Battiato. Una ricostruzione sistematica. Percorsi di ascolto consapevole” pubblicato da Arcana Edizioni, Collana Musica, nel 2023, in contemporanea con l’uscita dell’album “Fino a tardi. Viaggi sonori con Battiato”. Vincenzo Greco ha realizzato anche due video-racconti musicali (“Solo cose belle”, 2013 e “LiberAzione”, 2015, ambientato in Islanda) e un docufilm (“E noi ficimu a facci tanta. Una reazione Vibonese”, 2018). 

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Francesco Fravolini

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